ragazzi scherzano su una panchina
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Slash worker: chi sono gli accumulatori seriali di professioni e perché lo fanno

ragazzi scherzano su una panchina
(GettyImages)

di Amalia Verzola

Social media manager, life coach e architetto. Organizzatrice di eventi, formatrice in azienda e project manager. Il mondo del lavoro è diventato sempre più liquido, complice una crisi strutturale che non sembra attenuarsi e che si farà sempre più aspra a causa del COVID-19. Crollato il mito del posto fisso, si sgretolano ormai anche i percorsi lavorativi lineari. Se il mondo del lavoro è in assetto da guerra, accumulare posti di lavoro all’apparenza inconciliabili diventa tattico. Fenomeno congiunturale o scelta consapevole?

Si chiamano slash worker, cumulano attività lavorative differenti, e lo fanno per scelta. I dati Eurostat mostrano che nel 2018 il 5% delle persone nell’UE-28 con un titolo di istruzione superiore aveva più di un’attività lavorativa. Secondo la ricerca condotta da ACTA su un campione di 900 freelance italiani nell’ambito del progetto finanziato dalla Commissione Europea I-WIRE, gli intervistati sono diventati autonomi per scelta, per essere indipendenti, dare spazio alla propria creatività e poter avere maggior presa sul proprio lavoro e sulla propria vita. Un cambiamento culturale di spessore, se si considera che la maggior parte degli intervistati è disposta a pagare il prezzo della precarietà pur di poter decidere in autonomia il proprio percorso professionale. Dalla ricerca emerge infatti che gli intervistati sono globalmente soddisfatti della loro condizione lavorativa: l’11,8% è sempre soddisfatto, il 51% è spesso soddisfatto, e solo il 7% non lo è mai. Un nuovo paradigma del lavoro che merita interesse, e che rappresenta un’occasione per ripensare il rapporto tra dipendente e azienda, declinandolo sul piano dell’agilità.

Profili fluidi, caratterizzati da identità professionali plurime e un mix di competenze all’apparenza inconciliabili, spesso legate a passioni personali. Dalle analisi emerge che il 31% degli intervistati svolge 4 o più professioni differenti. Se molto spesso è la necessità di dover sbarcare il lunario a costringere a impegnarsi su più fronti lavorativi, ancora più spesso questa ibridazione è una scelta consapevole. “Questo fenomeno interessa più generazioni, e non soltanto quella dei Millennials – sostiene Marielle Barbe, autrice di Profession Slasheur (Marabout, 2017) e coach/formatrice/consulente/keynote speaker –. Queste figure professionali sono animate dalla curiosità, dal desiderio di apprendere, ma anche e soprattutto dal desiderio di dare un senso alle proprie attività lavorative. E quello che emerge dai dati, è che si tratta di una scelta deliberata”. Alla rarefazione degli impieghi stabili, gli slash worker reagiscono con una narrazione positiva, trasformando la precarietà in opportunità. Percorsi ibridi che da un lato rappresentano una risposta strategica alla crisi del mondo del lavoro, e dall’altro una vera e propria sfida per le aziende, che si trovano così a dover rivedere i loro modelli manageriali per poterli adattare ad una cultura del lavoro più elastica.

Trasformazione digitale, obsolescenza delle competenze, sovrapposizione sempre più problematica di lavoro e vita personale, nomadismo lavorativo e smart working. La crisi del lavoro è una crisi multipla, e in essa convergono molti elementi da tenere in considerazione. Nell’era ATAWAD, acronimo che sta ad indicare AnyTime AnyWhere AnyDevice, sono proprio il work-life balance e la formazione continua a diventare criteri di orientamento professionale sempre più rilevanti. “Le aziende devono considerare l’individuo nella sua globalità, e proporre nuovi modelli di gestione delle risorse umane, più agili – suggerisce Barbe –. Bisogna accompagnare questo cambiamento culturale per prevenire la demotivazione sul lavoro”. L’attrattività di un’azienda sta anche e soprattutto nell’attenzione che essa presta al benessere dei dipendenti. “Ma non esiste un modello univoco – sostiene Barbe–. Valorizzazione dei talenti e esaltazione delle competenze multiple, mobilità interna, flessibilità, creatività e innovazione. È necessario investire su una strategia che punti a preservare il benessere psico-fisico dei dipendenti e che riconosca il valore aggiunto dei profili atipici”.

Il colosso francese BNP-Paribas l’ha capito da tempo. Già nel 2015 veniva infatti lanciata l’iniziativa #tribudesagiles, finalizzata a valorizzare internamente le competenze multiple dei dipendenti attraverso delle missioni di corta durata al servizio di altre équipe, spalmate però sul tempo di lavoro. Un progetto innovativo che non solo fa suoi i principi della sharing economy, ma rappresenta anche un nuovo modello manageriale, più agile, semplificato. L’innovazione non è però solo una prerogativa del settore privato. Il governo canadese ha lanciato nel 2016 l’iniziativa Canada’s Free Agents, un modello sperimentale che permette ai funzionari pubblici di costruire la loro carriera impegnandosi su progetti a scadenza periodica. E in accordo con le aspirazioni del momento. Una sperimentazione agile che ha un duplice obiettivo. Da un lato, accompagnare l’evoluzione professionale dei dipendenti, garantendo un allineamento costante delle missioni di lavoro con gli interessi personali. Dall’altro, testare un approccio più elastico per poter mobilitare competenze su progetti puntuali, in una logica orientata all’innovazione e al problem-solving.

La crisi sanitaria attuale ha accelerato quel processo di trasformazione del mondo del lavoro che era in atto già da parecchi anni. La sfida principale, oggi, è quella dell’agilità. Restare in ascolto, decostruire, tentare, innovare, adattarsi rapidamente. Le metriche della performance lavorativa, in futuro, si baseranno sempre più sulla capacità di reinventarsi. E gli slash worker, spesso guardati con sospetto, sembrano avere tutte le carte in regola per poter affrontare con efficacia le sfide di una società in continua evoluzione.

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