Con un fatturato di 1.268 miliardi di euro, il gruppo SDF è fra i leader mondiali nella produzione di trattori, macchine agricole e motori diesel. L’acronimo riassume i marchi SAME e Deutz-Fahr, cui s’aggiungono Lamborghini Trattori, Hürlimann e Grégoire. Il cuore batte nella bergamasca Treviglio laddove tutto partì nel 1927 quando i fratelli Francesco e Eugenio Cassani realizzarono la Trattrice Cassani, pioniera dei trattori con motore diesel. L’azienda è oggi un colosso con 8 siti produttivi fra Europa e Asia, 12 filiali commerciali, una joint venture in Cina e una in Russia, oltre 3800 dipendenti e più di 3.100 concessionari.
Una multinazionale con salde radici a Bergamo, l’area più segnata dal Covid. SDF come sta reagendo? Ne abbiamo parlato con Lodovico Bussolati, da un decennio amministratore delegato del gruppo. Dagli anni settanta proprietà e gestione sono separati, nel consiglio di sorveglianza siedono i vicepresidenti Aldo e Francesco Carozza, terza generazione del gruppo, il presidente onorario è Vittorio Carozza, genero di Francesco Cassani.
“Qui c’è l’Italia che ha pianto”. Sono le parole di Sergio Mattarella pronunciate a Bergamo al concerto (28 giugno) alla memoria delle vittime del Covid. In SDF che clima si respirava durante la fase acuta dell’emergenza? Ed ora?
Il sito di Treviglio chiuse subito, il 24 febbraio. Essendo presenti in Cina, avevamo compreso l’entità del problema per cui applicammo gli stessi protocolli sperimentati in Cina. Bloccammo la produzione prima di tanti altri, così come i colleghi di rientro dalla Cina non potevano avere accesso all’azienda già da gennaio. Tanti sacrifici, ma in compenso non abbiamo poi registrato nessuna situazione di contagio nonostante i dipendenti siano circa 1500. Siamo ripartiti a maggio ed ora stiamo producendo a regime, guardiamo avanti cercando di recuperare i due mesi di chiusura
Cosa ha comportato il blocco della produzione?
Abbiamo diversi siti produttivi ma quello di Treviglio rimane il più importante, l’impatto del fermo è stato importante. Aggiungiamo che il mercato italiano pesa l’11% sul fatturato complessivo.
Il Presidente della Repubblica ha accennato alla “tenacia, ostinazione, spirito di sacrificio (…) doti di questa terra”. S’è ritrovato in queste parole?
Sono nato a Milano, ma a sette anni la mia famiglia si trasferì a Brescia, area affine a Bergamo. Sì, mi sono ritrovato pienamente nello spirito di quelle parole. La tenacia è la caratteristica prima di queste terre, e s’è visto. Aggiungo altre due qualità: l’umiltà e l’entusiasmo, lo spirito positivo nell’affrontare le difficoltà. Qui non ci si piange addosso, si sa che il mondo va avanti comunque e per questo le difficoltà non si scansano, ma si affrontano.
Cosa ha imparato SDF da questa crisi?
Per tradizione SDF è azienda molto reattiva ai cambi di scenari, come dicevo entusiasmo e tenacia sono nel suo DNA. Le situazioni impreviste stimolano l’uomo a trovare nuove soluzioni. Subito abbiamo compreso quanto fosse importante non venir meno alla routine quotidiana degli incontri per cui sono rimaste in calendario tutte le riunioni che pianifichiamo con mesi d’anticipo. Le facevamo da remoto e lì abbiamo capito che in futuro alcune andranno mantenute in presenza perché il contatto fisico ha valore, l’empatia gioca un ruolo importante, ma altre possono essere realizzate in video-conferenza ottimizzando i tempi degli spostamenti. Non solo. Le riunioni digitali richiedono una preparazione ancora più accurata, altra eredità che ci porteremo appresso. Siamo poi passati da zero a 100% di smart-working, potremmo pensare a un equilibro fra il nulla e il tutto sapendo che c’è anche un’altra modalità operativa.
Quali fra i Paesi in cui siete presenti è stato il più reattivo, efficace e propositivo nella fase di piena emergenza.
Per l’Europa senza dubbio Germania e Francia, Paesi tradizionalmente aperti al mondo dell’impresa, e del fare. Sia lo stabilimento di Lauingen sia quello di Châteaubernard non hanno chiuso neppure un giorno poiché il nostro settore è considerato strategico. In generale l’attività produttiva non ha avuto chiusure in questi Paesi salvo che vi fossero focolai in aree produttive. Anche in Croazia non ci siamo mai fermati benché abbiamo registrato rallentamenti produttivi e un calo della domanda.
L’India come ha reagito?
E’ iniziato tutto più tardi, alla fine di marzo. In India non esiste un’unica procedura nazionale ma si cambia di zona in zona. Dove noi operiamo, c’è stato uno stop di 15 giorni ad aprile, poi abbiamo ripreso al 50%. Esistono tuttavia aree interessate da un lockdown severo dove operano alcuni dei nostri fornitori, a questo quadro si aggiunge la problematica relativa alla limitazione nei trasporti.
E la Cina?
Il nostro sito produttivo ha avuto uno stop di tre settimane poi una ripartenza, applicando i protocolli di sicurezza che abbiamo “esportato” anche a Treviglio. Il mercato ha recuperato interamente, e per quanto ci riguarda a fine giugno abbiamo registrato risultati in linea con l’anno precedente nonostante il Covid.
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