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Chi è il marchese Bernardo Gondi, custode di quasi 10mila dimore storiche in Italia

il marchese Bernardo Gondi, custode di quasi 10mila dimore storiche in Italia
Il marchese Bernardo Gondi con la moglie Vittoria.

Articolo tratto dal numero di agosto di Forbes Italia. Abbonati.
Di Oliver Mellors

Bernardo Gondi, marchese fiorentino, erede di una famiglia imparentata con i Medici, che fu esecutrice testamentaria di Leonardo da Vinci, parla della storia ma guarda lontano. Mentre inquadra la cupola del Brunelleschi che sembra un affresco sospeso davanti alla terrazza di Palazzo Gondi, uno dei più belli di Firenze, allarga la vista a tutte le 9.385 dimore storiche che operano in una o più filiere produttive (pari al 64% di ville, castelli, forte, rocca, torri e palazzi – 14.725 unità – registrati in vincoli in rete). Di queste 8.089 hanno un codice Ateco, cioè sono sede di un’attività economica. “Mi sento custode della storia e dei beni della mia famiglia”, racconta. “Ho speso sei anni e mezzo per restaurare palazzo Gondi e renderlo più funzionale alle esigenze del nostro tempo ma l’ho fatto con passione e spirito di conservazione”. La moglie Vittoria, accanto a lui nello splendido palazzo, annuisce in silenzio con un sorriso. Gondi è vicepresidente nazionale dell’Associazione dimore storiche italiane (Adsi) nonché presidente dell’Associazione toscana. Di cose da fare, oltre ad amministrare il suo patrimonio immobiliare e le sue aziende agricole, ne ha parecchie. Sulla sua scrivania ha accumulato dei dossier di vari soci che continuamente si rivolgono a lui e al presidente della Adsi Giacomo di Thiene, architetto, specializzato nella tutela e recupero del patrimonio storico-artistico, per risolvere i loro problemi.

“L’attività svolta nelle dimore storiche è molto variegata e occupa circa 30mila addetti”, spiega il marchese Gondi. “Ogni anno vengono visitate da oltre 45 milioni di persone, tra studenti e turisti. Cinque volte tanto i visitatori del Louvre nel 2019. Stando al numero di ingressi, il fatturato annuale delle dimore storiche è di 272,5 milioni di euro (un sistema parallelo ai musei pubblici che incassa 294,2 milioni di euro). In alcuni settori, come la produzione di vino, le dimore storiche rappresentano una quota significativa, il 31,2% degli operatori”. Quello delle dimore storiche è un business – ammesso che si possa chiamare così, visto che per mantenerle occorrono investimenti importanti e costanti, difficili da recuperare – che riguarda per circa la metà il territorio rurale e la provincia italiana. Ville, castelli, rocche e palazzi si trovano, infatti, nel 53,7% dei casi in comuni con meno di 20mila abitanti e, in particolare, nel 29% dei casi sono nei preziosi borghi italiani sotto i 5mila. L’1,5% sono masserie, l’1,7% casali, il 3,4% tenute di campagna, il 4,1% borghi, il 12,7% castelli, il 33,9% ville e 40,8% palazzi. Il 20% delle dimore storiche è concentrato in Toscana, seguita dal Veneto con il 15%. Di tutte il 29% viene utilizzato per eventi, il 27% ha destinazione alberghiera e il 23% agroalimentare.

“È tanto il potenziale ancora inespresso del patrimonio storico, artistico e paesaggistico nazionale. Per fare luce sulla connessione diretta fra l’efficace gestione degli immobili storici e lo sviluppo economico delle loro aree di riferimento, il positivo impatto sull’ambiente circostante, le sinergie con i settori di istruzione e ricerca e con il mondo delle imprese, l’impulso per la nascita di nuove opportunità professionali e la valorizzazione di storia, tradizioni, produzioni territoriali, la riscoperta di tecniche artigiane che si stanno perdendo e andrebbero invece recuperate e valorizzate”, ha scritto la Fondazione Bruno Visentini in un report dedicato proprio alle dimore storiche. “Se consideriamo che, stando prudenti, ogni euro investito nelle dimore storiche ha una ripercussione almeno doppia sui benefici per l’economia dei luoghi nei quali sorgono”, ha commentato di Thiene, “dobbiamo solo augurarci che il governo centrale e quelli regionali, il ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo, i comuni comprendano l’importanza di valutare questi immobili davvero come il perno per la ricostruzione che ci aspetta”.

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