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La rinascita del cashmere italiano nell’anno del Covid, il caso Malo

Cashmere Boutique Roma
Cashmere Boutique Roma, Credit photo, Relmmagina

Trama: un imprenditore italiano nell’annus horribilis del Covid investe oltre 20 milioni di euro per salvare un marchio (e 120 lavoratori) perché, da bambino, ammirava nelle vetrine del centro di Milano le creazioni di quel medesimo marchio, considerandole irraggiungibili per le sue tasche.

Ma quale film! Storia vera, verissima, quella di Walter Maiocchi e della sua idea di business, nata quando nessuno parlava ancora di business e di brand, ma solo di marchi e senso degli affari.

Del guardaroba, il capo in cashmere è d’altronde il più aristocratico e indipendente, perché rappresenta il superamento del maglione, cioè di quel capo fondamentale, diceva Ambrose Bierce, che viene fatto indossare al bambino quando sente freddo la mamma.

dettaglio Cashmere
Credit photo, Tailerstudio

In fatto di coraggio, Maiocchi e i suoi manager sembrano averne da vendere. Viceversa non avrebbero salvato Malo, storico nome del cashmere made in Italy, senza rilanciare con quella che in italiano si dice visione e in inglese, dicono i meglio informati, addirittura vision. Se il primo assunto è stato quello di salvare 120 stipendi e con essi l’esperienza artigianale, quella che s’impara solo tramandata di generazione in generazione, il secondo è stato quello di resuscitare gli storici telai meccanici dell’azienda.

Un capo in cashmere è emozione, tatto, dettaglio squisito. Il cashmere moderno è spesso il risultato di macchine a stampa elettroniche che permettono di produrre certamente ottimi capi, ma mai paragonabili alla qualità degli storici telai meccanici. Ben otto telai sono quindi restaurati e rimessi in funzione negli stabilimenti piacentini (la storica culla del cashmere italiano) e toscani, e da lì hanno preso la via del mondo.

Le idee per raggiungere l’annus mirabilis non sono finite qui. Siccome la sintesi di tradizione e modernità non può essere il solito slogan di marketing, Maiocchi ha deciso che il suo gruppo, per ogni lancio di un nuovo negozio virtuale (sito online o campagna social), dovesse far corrispondere l’apertura di una boutique reale.

Cashmere Boutique Roma
Cashmere Boutique Roma. Credit photo, Relmmagina

E così, mentre i bollettini Covid hanno purtroppo iniziato a far compagnia alle giornate degli italiani e la vita si è fatta sempre più smart (facili ironie a parte) ma di certo più “in remoto”, ecco aprire la boutique di Verona, a breve Napoli e contemporaneamente un balzo verso i mercati mondiali, sempre nel segno dell’eccellenza. In Russia, a Soči, una boutique, in Giappone 12 punti vendita, mentre Hong Kong e Taiwan con corner shop nei mall più esclusivi, fino al coronamento, come sempre, rappresentato da New York.

Manhattan è il cerchio che si deve chiudere, riaprendo in Madison Ave dove un tempo la boutique di Malo era l’indirizzo sinonimo di cashmere per l’upper class internazionale. Ma senza andare lontano, a Roma, si può andare lontanissimo. Nella Capitale i tre piani della boutique accanto a via Condotti portano la firma inconfondibile di Gianfranco Ferré, ma questa volta in veste di architetto. Una rarità nella rarità.

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