Innovation

In cosa è impegnata una delle aziende tecnologiche italiane a più alta crescita

Articolo tratto dal numero di novembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!

Cristiano Boscato è seduto di fronte a un quadro blu. Nella cornice si vedono la sagoma di uomo e, al suo interno, un server, un binocolo, i dati, le persone, i pianeti. L’opera è dell’artista Margherita Paoletti. “Rappresenta l’idea di una visione umanocentrica della tecnologia”, spiega l’imprenditore, che da 11 anni guida lo sviluppo di Injenia, realtà Ict & consulting di Bologna.

Injenia è una società fuori dagli schemi dell’innovazione tradizionale. Dal 2005 realizza progetti digitali con l’obiettivo di rendere le aziende posti migliori in cui vivere e lavorare. L’approccio è orientato a un umanesimo digitale: le persone al centro, insieme alla loro visione. Boscato esprime il pensiero strategico dell’imprenditore e la visione dell’umanista. L’idea è semplice: la tecnologia al servizio dei bisogni delle persone.

Con più di 100 dipendenti, Injenia, negli ultimi anni ha visto un incremento del fatturato che le ha permesso di entrare tra le dieci aziende italiane a maggiore crescita nel settore della tecnologia. Negli anni si è specializzata in cloud computing, machine learning e intelligenza artificiale, è Google Cloud premier partner e ha lanciato di recente Interacta, una piattaforma che facilita una comunicazione e un’interazione naturale fra i membri dei team aziendali.

Cosa vuol dire innovare, per chi ha scelto questa missione?
Injenia fa innovazione da sempre, cercando di far evolvere le aziende verso il futuro attraverso soluzioni tecnologiche. Negli ultimi anni, poi, le prospettive sono cambiate: prima innovare rappresentava la nuova frontiera, oggi le aziende cercano un cambiamento in chiave evolutiva, e non più in sola chiave di disruption.

In quali settori è più semplice o difficile sviluppare innovazione?
Alcuni settori sono stati più veloci di altri. Penso, in particolare, agli ambiti in cui il cliente è il consumatore finale, come retail e moda. Se il cliente cambia, devono cambiare anche processi, prodotti e servizi. Subito dopo hanno iniziato a innovare anche mercati più tradizionali, come quello manifatturiero, dove le nostre innovazioni sono state portate fin dentro alle fabbriche. L’impatto non ha riguardato solo gli strumenti, ma anche l’aspetto umano, ovvero la collaborazione tra persone.

Come si innova in una fabbrica, al di là dei macchinari?
Dentro le fabbriche ci sono le persone e l’aspetto collaborativo è essenziale. Dentro una fabbrica possiamo trovare chi può sviluppare il business, chi conosce la tecnologia, il prodotto. Proprio in un impianto produttivo, quello di Barilla, è nata Interacta, il nostro strumento dedicato alla collaborazione che facilita la gestione dei processi interni, assecondando il modo naturale di interagire e comunicare tra le persone. Il grande vantaggio è, oltre a far collaborare e far lavorare bene le persone, la possibilità di gestire un processo in cui tutte le informazioni scambiate diventano un patrimonio alla portata di tutti.

Che tipo di progetto avete sviluppato insieme a Barilla?
Siamo partiti da un progetto di knowledge management, di gestione della conoscenza, con l’obiettivo di rendere ogni dipendente consapevole dello stato di avanzamento delle operazioni all’interno dello stabilimento. Non è facile poter contare su informazione e conoscenza condivisa all’interno di un ecosistema complesso come quello di una fabbrica. In molti stabilimenti ci sono persone che non hanno neanche una mail. Il nostro obiettivo era rendere semplice e immediata la gestione di processi quali la condivisione di informazioni sull’andamento del piano produttivo, l’approvvigionamento delle materie prime, la manutenzione degli impianti e i risultati operativi. Tutti questi processi, se gestiti in maniera condivisa, facilitano anche la comunicazione tra una funzione e l’altra.

Cosa manca ai gestionali ‘tradizionali’ per poter assolvere a questa funzione?
Gli strumenti standard, come i gestionali, permettono di avere monitoraggio di elementi base, co-me i kpi (key performance indicator, indicatori essenziali di prestazione) e i dati di produzione. Ciò che mancava era la possibilità di comunicare in maniera naturale e immediata, per intervenire tempestivamente sui processi di manutenzione e di gestione delle non conformità. Bisognava fare in modo che tutti portassero il maggior contributo possibile in base alle loro capacità. Interacta è facile da adottare, e questo rende la soluzione fortemente replicabile. In Barilla è stata adottata, ad esempio, su più impianti produttivi e si presta anche a molti altri processi. Per esempio quelli commerciali, come lo scambio di informazioni tra sede e rete vendita, che eliminano lo spreco di tempo e la dispersione di conoscenza di telefonate e chat non aziendali, oppure nel retail per il vi-sual o lo shopper marketing.

Quale deve essere il ruolo delle istituzioni nel promuovere l’innovazione?
Promuovere l’innovazione nei processi è un’attività difficile, poiché intangibile. Dire “lavora sui dati” è come dire di lavorare “sull’aria”. Spesso è più facile dire “lavora su un capannone” o “compra un’altra macchina”. Per superare questo problema di intangibilità c’è bisogno di pratica, inve-stendo sul valore culturale. Servono centri di formazione che siano aperti e inclusivi e che possa-no interagire con tutte le aziende del territorio, anche quelle più piccole.

Che ruolo possono giocare scuola e giovani in questo?
È necessario che le scuole possano contare su strumenti per fare questo nuovo passaggio cultu-rale: noi lavoriamo moltissimo con le università, e questo processo dovrebbe essere replicato. Si può investire di più e meglio su un rapporto virtuoso tra i giovani che oggi escono dall’università e il mondo delle aziende. E poi bisogna ascoltare i giovani. In Italia non sempre si sta a sentire un ragazzo di venticinque o trent’anni. In altri paesi, le più grandi aziende tech sono state sviluppate da persone sotto i trent’anni. Si tratta quindi di una questione culturale: le aziende dovrebbero selezionare giovani che sanno governare le nuove tecnologie. E in questo dovrebbero essere so-stenute dallo Stato. Spesso a fare la differenza non è un macchinario nuovo, ma un modo diverso di interpretare la tecnologia.

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