Silvano Lancini, presidente e general manager di Smeup
Leader

“Aggregare intelligenze per valorizzare il know-how”: così questo imprenditore impara dalle piante per creare software

Articolo tratto dal numero di dicembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!

Innovazione e cambiamento. Silvano Lancini conosce bene la differenza tra i due termini. Presidente e general manager di Smeup, ha fondato la sua azienda negli anni Novanta, con l’obiettivo di creare una società che si occupasse di sviluppo software per le imprese. Con 70 milioni di euro di ricavi nel 2021, oggi Smeup, grazie allo sviluppo di soluzioni software strategiche e l’implementazione di infrastrutture dinamiche, è il partner globale che supporta ogni giorno oltre 2.450 clienti in Italia e nel mondo. Al momento l’azienda oltre a perseguire il suo obiettivo di business, vede nel concetto di aggregazione uno dei suoi fondamenti. Lancini dichiara che la società pochi anni fa si è trovata a un bivio: aggregare o convergere. Il presidente ha scelto la prima opzione. Oggi Smeup vede al suo interno persone provenienti da aziende diverse che hanno portato valore ai clienti grazie all’aggregazione di intelligenze.

D’accordo, ma quindi per lei è questa l’innovazione?

Si tratta di un termine un po’ abusato e che non mi entusiasma. La mia sensazione è che oggi si usino troppe parole senza consapevolezza sul contenuto. Per me l’innovazione è soprattutto un atteggiamento mentale: vedere cose comuni da una prospettiva nuova. In Smeup mi impegno ogni giorno a guardare la realtà dei nostri clienti in modo innovativo. Spesso si tratta di trovare una soluzione semplice a problemi complessi, aprendo la strada a nuove possibilità. Tempo fa ho letto l’Elogio della bicicletta di Ivan Illich, scritto nel ’73. A volte penso a come le cose che Illich ha previsto si stiano avverando. Significa che qualcuno ha saputo immaginare e si è messo sulla strada per il futuro. Questa è innovazione.

Pensa che la sua azienda la rappresenti appieno?

Certamente, tutti i giorni cerchiamo di guardare al semplice con un punto di vista nuovo. Ad esempio, nel nostro showroom, scelta insolita per un’azienda di software, abbiamo messo a terra le tecnologie, realizzando esempi concreti della loro applicazione. Nel giardino della nostra sede di Erbusco, in Franciacorta, abbiamo installato degli alveari e ogni giorno ci chiediamo cosa possiamo fare tramite il controllo tecnologico. Tutto questo ci obbliga a vedere cosa è disponibile, cosa è innovativo.

Che cosa vuol dire che possiamo imparare dalle piante per creare software?

L’idea è arrivata dopo aver letto un bellissimo libro dello scienziato delle piante Stefano Mancuso (saggista italiano che insegna arboricoltura generale ed etologia vegetale all’Università di Firenze, ndr). Dopo averlo conosciuto ho scoperto l’intelligenza delle piante. Lui dichiara che il web assomiglia più al mondo vegetale che al mondo animale: vive anche se gli vengono tagliati rami. Ed è stato curioso, perché in azienda, negli anni, abbiamo pensato spesso di creare software ecologici. A pensarci bene, possiamo imparare dalle piante il modo di concepire un software moderno che cresce con continuità e in armonia, che ha radici e solidità pari a ciò che vediamo. Esiste un altro aspetto fondamentale: le piante sono ferme, statiche, ma vivono in un ecosistema e da loro possiamo imparare l’arte della convivenza. Un’organizzazione decentrata e cooperativa in cui tutti i viventi trovano spazio perché ognuno è consapevole di dipendere dagli altri. La natura ci offre infiniti spunti.

E allora cosa intende per cambiamento?

La mia percezione oggi è che rischiamo di annegare nell’eccesso di disponibilità, di qualsiasi genere. Siamo dentro un cambiamento costante. Le cose mutano velocemente e come uomini dobbiamo saper leggere cosa sta succedendo attorno a noi. La tecnologia continua a offrirci nuove possibilità, ma dobbiamo riportare al centro la cultura e vedere nella tecnologia la sua utilità per l’uomo. Questo deve essere l’unico fine. Ed è il motivo per cui sono convinto che il passato sia stato la tecnologia dell’informazione. Il futuro sarà la tecnologia della formazione.

Ci può fare un esempio.

Tutto il processo di conoscenza nel passato era un processo di gruppo, oggi è diverso. Bisogna capire come riesco a imparare: cosa mi aiuta a imparare? Dentro il software è importante il sapere o che il software mi dica chi conosce quell’informazione? Un esempio concreto di cambiamento è la necessità di mappare la competenza. C’è una grandissima carenza di mappatura di competenze, per esempio, nelle aziende. L’ideale sarebbe avere un Kpi che indichi quanta conoscenza c’è dentro un’azienda. Quando io leggo un documento, ho arricchito la mia conoscenza. Quando una persona, al contrario, lascia l’azienda con lui va via un pezzo di conoscenza. Noto una certa confusione oggi, tra competenze e informazioni. Per me il cambiamento, insomma, è quello di poter fare un salto culturale grazie alla tecnologia.

Tramite cosa?

L’intelligenza aumentata e l’intelligenza collettiva.

In che senso?

Nel nostro caso, Smeup è un sistema decentrato. Gli azionisti sono tutte persone operative quotidianamente in azienda. Questo meccanismo permette di avere delle connessioni che vanno a incrementare l’intelligenza personale. Da qui il concetto di intelligenza collettiva. Ed è questo l’approccio che abbiamo con i nostri clienti, che non sono solo persone a cui vendiamo servizi, ma una fonte di arricchimento. Per questo ogni giorno agiamo seguendo la nostra vision: aggregare intelligenze per valorizzare il know-how e i processi tipici delle aziende e delle loro persone, sfruttando le potenzialità delle tecnologie.

Ci sono progetti in cantiere?

Abbiamo raggiunto, a nostro avviso, una dimensione che giudichiamo essere ‘di equilibrio’. Un fatturato di 70 milioni, nel nostro settore, è un buon risultato. Continueremo a investire in tecnologia, sia software che infrastruttura. Continueremo a investire in un laboratorio di sviluppo e nelle nostre persone per fornire soluzioni sempre più efficaci e adeguate a un mondo in costante evoluzione. Il mio sogno è che l’azienda sopravviva ai fondatori in un processo di continua trasformazione, senza perdere l’identità e i riferimenti valoriali delle origini.

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