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Viaggio nel distretto dell’oro, dove investono anche Bulgari e Cartier

Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

A Valenza, in provincia di Alessandria, si cesella l’oro e si incastonano pietre preziose da oltre due secoli. Si iniziò negli anni infuocati del Risorgimento, nel Piemonte di Vittorio Emanuele I, prossimo ad abdicare per il fratello Carlo Felice. Da quel momento Valenza, che ora brilla fra le capitali mondiali della gioielleria di alta gamma, ha visto un crescendo di miniere d’oro: le mani che danno un’anima a metalli e pietre.

È questa l’Italia delle mani intelligenti. Il Paese di uomini come Severino Michielon, da poco scomparso a 91 anni, che, giunto a Valenza per fare il carbonaro, finì al bancone dell’orafo. Una storia molto comune da queste parti: primi passi come garzoncino, poi apprendista, orafo e, per i più ambiziosi, il sogno imprenditoriale. Fra gli aneddoti di Michielon, quello dell’ape d’oro creata per la regina d’Inghilterra. “Quando l’ha messa sul suo cappello, ne abbiamo vendute migliaia”, raccontava con orgoglio. 

Valenza è il cuore del distretto orafo alessandrino, che abbraccia anche i comuni di Bassignana, Pecetto di Valenza, San Salvatore. Un’area dove si registra la massima densità orafa d’Italia, in cui ogni anno vengono lavorate 30 tonnellate d’oro e il 90% delle pietre preziose importate nel Paese. L’88% delle imprese manifatturiere locali fabbrica oggetti di gioielleria, oreficeria e articoli connessi: 698 realtà che occupano 4.269 addetti (dato InfoCamere-Stockview su fonte Inps).

Il pioniere fu Francesco Caramora, che nel 1817 aprì una bottega orafa e nel 1825 registrò il proprio marchio: un punzone con le sue iniziali inframmezzate da una mezzaluna. Morì prematuramente, ma un suo apprendista, Pietro Canti, ne raccolse il testimone, anche in termini di tutela della proprietà intellettuale. Sull’operato appose il proprio sigillo, ovvero le iniziali con al centro una fiaccola. Nel frattempo l’apprendista più brillante di Canti, Vincenzo Morosetti, aveva lasciato la bottega per carpire anche altrove i segreti del mestiere. Era addirittura salpato per l’America e, una volta tornato, depositò il punzone con le sue iniziali e il cuore di Gesù avviando una sua azienda, la Fratelli Morosetti.

Con un fiuto imprenditoriale affinato oltreoceano, fu lui a imprimere una svolta alle modalità di lavoro di Valenza, separando le operazioni di creazione del prodotto da quelle di promozione e marketing. Capì, insomma, che non bastava produrre e bisognava anche saper vendere. Seguì uno sviluppo per gemmazione cui l’apprendista dei Morosetti, Vincenzo Melchiorre, aggiunse un altro tassello fondando nel 1873 una propria manifattura, in cui fece confluire le esperienze vissute fra Torino e Parigi (qui era finito sotto l’ala della celebrità del settore Camillo Bertuzzi).

Nel 1902, a Valenza veniva fondata una Cooperativa di Produttori di Generi di Oreficeria che, alla vigilia della Prima guerra mondiale, contava 44 imprese orafe. Quasi tutte furono spazzate via dalla guerra, a causa della dispersione della mano d’opera e della mancanza di materia prima. Poi il risveglio. Fu in questa fase che prese forma, per esempio, la Damiani, oggi un gruppo da quasi 200 milioni di euro. Dopo il nuovo tonfo per la Seconda guerra mondiale, arrivarono gli anni del boom della produzione, quando i treni in arrivo a Valenza erano carichi di lavoratori dei centri vicini, capoluogo compreso. In quel periodo, per formare maestranze qualificate venivano avviati corsi e il primo gabinetto di analisi gemmologiche. Quest’autunno ha preso forma l’Its Gem, il primo corso post diploma dedicato all’oreficeria.

Oggi il distretto di Valenza si distingue dagli altri due poli della gioielleria italiana, Vicenza e Arezzo, per la preponderanza di micro e piccole  imprese: l’83% delle aziende impiega meno di dieci addetti e il 15% dai 10 ai 49. Le micro, piccole e medie imprese sono contoterziste dei grandi marchi, ma spesso anche produttrici di proprie linee di gioielli. E ben tre grandi marchi di fama mondiale risiedono a Valenza. Si parte da Damiani, che proprio qui nacque nel 1927, quindi Bulgari, che a Valenza ha posto lo stabilimento produttivo più grande d’Europa. E poi c’è Cartier, che si muove in punta di piedi: prima ha avviato un piccolo laboratorio di alta gioielleria, ma pianifica di aprire entro il 2024 un nuovo e modernissimo stabilimento orafo nel cuore produttivo delle aziende artigianali valenzane, nell’area del Co.In.Or. Poi una novità: è dato quasi per certo l’arrivo del colosso milanese Pomellato.

Un’altra nota distintiva del distretto alessandrino può essere ricavata dal report di Intesa Sanpaolo: il tessuto è fatto di aziende con un alto livello di patrimonializzazione (45,5%). Una quota più alta rispetto alle realtà di Arezzo (29,8%) e Vicenza (34,5%). Anche i margini operativi netti in percentuale sul fatturato sono pari al 7,8%, cioè doppi rispetto agli altri due distretti italiani (3,4% per Vicenza, 3,3% per Arezzo). 

Ai tre poli della gioielleria italiana si deve il 75% dell’export nazionale di settore. Valenza, in particolare, si è distinta per l’impennata delle esportazioni nel decennio 2009-2019, in cui è passata da 400 milioni a 2,1 miliardi. Poi, causa pandemia, nel 2021 si è scesi a 1,446 miliardi. Quello di Alessandria è poi il primo distretto italiano per presenza di imprese che nel triennio 2017-19 si sono distinte per redditività, crescita, solidità patrimoniale e aumento della forza lavoro: il 22% delle imprese del distretto orafo di Valenza ha queste caratteristiche, contro il 7% di Arezzo e il 10,2% di Vicenza.

Valenza, area operosa e dunque silenziosa, ora intende conquistare la ribalta, dopo decenni di laboriosità dietro le quinte. Il primo passo è stato il lancio del marchio collettivo DiValenza – Impronta Orafa, pensato per dare voce alle piccole e medie imprese del territorio. Da qualche mese DiValenza è confluita nella Fondazione Slala (Sistema logistico del nord ovest d’Italia), dove una commissione Logistica del Lusso intende fare dell’arte orafa il volano di un turismo da affiancare ai viaggi enogastronomici del Monferrato. Si parte dalle fondamenta, dunque dallo sviluppo e ammodernamento delle infrastrutture, anche a beneficio dei molti pendolari. 

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