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Vini da investimento: ecco tutte le novità sulle quali puntare

di Luca Gardini 

L’interesse, tuttora in fase incrementale, per i vini da investimento, condito da un proliferare di società di consulenza, siti tematici, portali, videocorsi e tutorial dedicati, è un qualcosa di sedimentato da tempo, che successivamente al periodo pandemico ha risvegliato il pubblico degli eno appassionati italiani.

Diversificare il portafoglio d’investimento

Per sintetizzare, sono considerati vini da investimento quei prodotti che, per caratteristiche di riconoscibilità, unicità, stile inconfondibile, storia aziendale, rarità e reperibilità, unite ad annate straordinarie da un punto di vista meteorologico, trasformano un bene di consumo in un prodotto capace di aumentare il proprio valore sul mercato.

Del resto, in altre parti del mondo, la tematica dei cosiddetti pleasure asset, di cui i fine wines fanno parte, è calda da tempo. La Borsa del Vino, cioè il Liv-Ex (London International Vintners Exchange), fondata nel 2000 da James Miles e Justin Gibbs, ha fatto registrare solo negli ultimi anni un incremento incredibile, confermando come il mercato dei vini da collezione sia ormai diventato una maniera di diversificare il portafoglio d’investimento.

L’uscita dei nomi tradizionali in catalogo

L’allargarsi della base di interesse ha significato, anche per i prodotti italiani, l’uscita dal paradigma dei tradizionali nomi presenti da anni in catalogo. Tra questi Masseto, Ornellaia, Sassicaia, l’Amarone di Quintarelli o di Dal Forno, il Monfortino di Giacomo Conterno, il Madonna delle Grazie de Il Marroneto, il Tenuta Nuova di Casanova di Neri, il Case Basse di Soldera.

E ancora il Barolo Monprivato di Mascarello Giuseppe e Figlio, e altri illustri Barolo, come quelli di Bruno Giacosa e di Roberto Voerzio o il Barbaresco di Angelo Gaja. Entrando in territori inesplorati, sui quali è interessante approfondire, ci sono diversi nomi.

Dal Val d’Arno al Brunello di Montalcino 

Tra questi il Toscana Igt Sette di Tenuta Sette Ponti, un magnetico assemblaggio di 7 cru di Merlot in purezza dalla zona di Castiglion Fibocchi, olfazione magnifica, al palato intenso, vellutato, elegante. Poi il Val d’Arno di Sopra Doc Vigna Galatrona di Petrolo, ancora Merlot in purezza.

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Brunello di Montalcino Docg Vigna del Suolo di Argiano

Un vino teso quest’ultimo, croccante-succoso, iodato e molto agrumato, con finale di grande persistenza. Rimanendo in Toscana da non dimenticare l’Orcia Doc Petrucci Melo di Podere Forte, un Sangiovese in purezza da progetto in biodinamica, teso, intenso, con una marcata speziatura.

Altro prodotto extra-ordinario, appena immesso sul mercato ma sicuro asset, è il Toscana Igt Poggio Ferro di Castello di Montepò, Sangiovese in purezza (da clone BBS 11) da cru di circa 1 ha, frutto di un lavoro di parcellizzazione accuratissimo che unisce eleganza, complessità e struttura in un equilibrio perfetto.

Spostandosi a Montalcino c’è il Brunello di Montalcino Docg Vigna del Suolo di Argiano, punta di diamante di un’azienda che ha svolto un grandissimo lavoro di zonazione, balsamico, con note salmastro-salate e grande bevibilità, per poi passare al Brunello di Montalcino Docg de Le Potazzine, altro grande classico.

Il territorio delle Langhe

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Barolo Docg Riserva Vigna Elena

Un vino dall’equilibrio magistrale, frutta rossa, tocchi officinali-floreali, con finale balsamico e persistente. Passando poi nel territorio delle Langhe, il consiglio è provare il Barolo Docg Riserva Vigna Elena di Elvio Cogno, da Nebbiolo Rosé in purezza.

Quest’ultimo una rilettura magistrale dei classici delle Langhe, con note balsamiche, agrumate, iodate e floreali, e ovviamente il Barolo Docg Riserva Cà d’ Morissio di Mascarello Giuseppe e Figlio, sempre da vigneto Monprivato. Una bottiglia indimenticabile, sapida, di eccellente densità, con ritorno fruttato-agrumato e grande persistenza.

Dal vino bianco alle bollicine

Passando invece ai bianchi i più interessanti sono alcuni tagli di diverse cantine storiche sul territorio, tra tutti l’Alto Adige Doc Pinot Bianco Rarity di Terlano, affinato per 10 anni sui propri lieviti in botte, con croccantezza, note di caramella d’orzo e cedro, l’Alto Adige Doc Cuvée Nama di Nals Margreid, Chardonnay, Pinot Bianco e Sauvignon affinato per 18 mesi in rovere; agrumato, officinale.

E ancora l’Alto Adige Doc Gewürztraminer Spätlese Epokale di Tramin, un vino dolce fatto come una volta, di estrema freschezza, affinato in una miniera abbandonata a 2000 metri di altezza.

Passando alle bollicine nostrane, che possono essere prese in considerazione, spicca il Franciacorta Docg Riserva Dosaggio Zero Annamaria Clementi di Cà Del Bosco, una pietra miliare che a ogni uscita sfida il terreno dell’eleganza e della precisione, con le sue nuances di frutta bianca e salvia selvatica e il finale balsamico-mentolato.

Un’altra bollicina da investimento è il Trentodoc Giulio Ferrari Riserva del Fondatore di Cantine Ferrari, da uno storico cru aziendale, 100% Chardonnay 10 sui lieviti con note agrumate, floreali e officinali e una beva indimenticabile.

Guardando al futuro, è importante considerare zone vinicole da investimento. Le prime sono l’Etna, il Chianti e alcune zone ingiustamente sottovalutate, come ad esempio l’Umbria.

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