Small Giants

La storia del vino Ruffino, dalla Toscana al mercato internazionale

Articolo tratto dall’allegato Small Giants del numero di giugno 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Cultura del bere, uve che sono il frutto di un’attenta selezione, un gusto che si affina, così come la consapevolezza dei consumatori. Un’evoluzione che caratterizza casa Ruffino dal 1877, quando è nata nei dintorni di Pontassieve, fino ad oggi, con una presenza in oltre 90 paesi del mondo. Qui, a due passi da Firenze, Ilario e Leopoldo Ruffino fondarono la cantina storica dell’azienda, che rimane il centro di gravità di tutta l’attività, già con il proposito di guardare a una clientela alla ricerca di un prodotto di qualità e anche per questo mirando ad ampliare i confini della distribuzione, tanto da diventare poi uno dei primi produttori di Chianti ad aprirsi uno spazio nel mercato americano.

Le tenute

Una sfida sulla qualità che compie un passo decisivo alla fine degli anni ’70, tanto da ottenere nel 1984 la prima fascetta Chianti Docg. Si punta al controllo di tutte le fasi produttive e prende avvio il progetto di Tenute Ruffino nelle più vocate Docg toscane: Montalcino per il Brunello, Montepulciano per il Nobile e soprattutto il Chianti Classico, partendo da Montemasso e poi con l’acquisizione di Gretole e Santedame, fino a comporre uno dei poli quali-quantitativamente più rilevanti del territorio. In parallelo, la voglia di espandere il mercato porta alla creazione di imponenti Supertuscan.

La svolta

Nel 2011, la famiglia Folonari cede l’azienda a Constellation Brands. Il passaggio genera un cambio di mentalità, segnando una svolta da un modello di business a conduzione semi-familiare a uno manageriale; ma la qualità resta l’elemento essenziale di un vino che mira a farsi sempre più prodotto da degustazione, posizionandosi verso la fascia alta di mercato. Arriva così una nuova sfida, quella della sostenibilità, con il territorio visto come valore da tutelare. Da qui nasce Ruffino Cares, progetto che passa attraverso l’adozione di una viticoltura di precisione, che significa gestione dei vigneti secondo le peculiarità di ogni sito, riducendo l’uso dei fitofarmaci di origine vegetale/naturale. Con il proposito di arrivare per il 2030 a un completo riciclo delle acque e per il 2035 alla neutralità carbonica.

Ruffino apre così le porte al futuro, partendo proprio dalla tradizione e da un posizionamento forte sul mercato internazionale, come evidenzia un export che oggi raggiunge il 90% della produzione e come ci conferma l’amministratore delegato Sandro Sartor: “Abbiamo chiuso il nostro esercizio a fine febbraio con un fatturato di circa 125 milioni di euro e 28 milioni di bottiglie, in leggera flessione. Questo perché abbiamo sofferto il periodo dicembre-febbraio, nel quale il mercato, in particolare nordamericano, si è raffreddato. Nel mercato europeo direi che stiamo procedendo bene, pur se anche qui si è visto un rallentamento. C’è invece una crescita del mercato asiatico, che potrebbe costituire un riferimento importante per il futuro”.

Sandro Sartor, amministratore delegato di Ruffino.

Che cosa rappresenta oggi il vino e in che modo si sono evoluti i gusti del consumatore?

Negli anni la concezione del vino è molto cambiata. È sempre più visto come un’esperienza, un aspetto emozionale anziché funzionale. Un’emozione che è anche cultura, perché può far pensare a un determinato territorio e alla sua vocazione. Il gusto dei consumatori si è modificato, evolvendo verso vini più aromatizzati e con note fruttate, soprattutto in riferimento ai giovani. C’è poi da tener presente la questione del riscaldamento climatico, per cui bisogna offrire un prodotto degustabile anche nei mesi più caldi. Per il Chianti questo ha comportato la necessità di fare vini più eleganti, si è ridotto l’uso di legno e barrique per l’invecchiamento, per smorzare un po’ i tannini e le gradazioni elevate. È una bella prova, perché significa riposizionarsi sul mercato senza perdere la propria connotazione.

Oggi si può parlare di vino come prodotto di lusso con forte valore aggiunto?

Per caratterizzarsi come prodotto di lusso la qualità è elemento imprescindibile, ma non basta. Bisogna riuscire a creare un brand che rappresenti per il consumatore un valore emozionale, quel quid in più determinato da fattori anche immateriali. Un aspetto che influenza poi anche la composizione del prezzo, che dipende in buona parte dal posizionamento sul mercato.

Cosa c’è nel futuro di casa Ruffino?

Ci proponiamo di diventare un brand of purpose, perché la sostenibilità ambientale e sociale per noi è un impegno centrale. Attueremo la conversione di tutti i vigneti a biologico entro il 2025. Inoltre stiamo lavorando su iniziative mirate al risparmio idrico, con l’uso di invasi per riutilizzare l’acqua piovana, così da contrastare l’emergenza climatica. Una vera novità è poi la creazione di un comitato di altissimo livello che lavorerà con i nostri agronomi e enologi per rispondere alle modifiche ambientali, con l’assistenza di profili come Alberto Antonini e Stefano Poni. Andranno rivisti i metodi di potatura e sfogliatura, così come sarà essenziale fronteggiare le gelate tardive. Grandi aziende come la nostra devono riuscire a prevedere e anticipare questi fenomeni. Sotto il profilo della produzione, invece, ci mancava un tassello importante per la Toscana come Bolgheri, dove abbiamo acquisito dei terreni, costruiremo una nostra cantina e daremo vita a un marchio con cui completare l’offerta dei vini top per questo territorio. Figlio del riposizionamento di Ruffino è anche il rivoluzionamento della nostra hospitality: abbiamo attuato un restyling della nostra sede di Poggio Casciano e invitiamo tutti a venirci a trovare, per capire che cos’è Ruffino oggi.

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