La prima partita si gioca davanti all’opinione pubblica. Ed è una corte dal giudizio estremamente volubile e rapido perché si tratta di un pubblico eterogeneo che le sue opinioni le assume attraverso modalità diverse. C’è infatti chi ancora non si perde un notiziario e chi è affezionato al rito del quotidiano cartaceo, ma anche chi ha scelto la via dell’informazione online.
Senza escludere quanti sono influenzati maggiormente dai social e dalle notizie che ricevono attraverso qualche sistema di messaggistica. In questo contesto i professionisti della comunicazione non sono chiamati solo ad affrontare le crisi mediatiche, in realtà a volte devono far conoscere nel dettaglio l’opinione e la situazione di chi sostiene una posizione o un punto di vista. Se si volesse semplificare nel primo caso si parlerebbe di giocare in difesa, mentre nel secondo di giocare all’attacco, ma sempre con l’obiettivo di vincere davanti alla corte dell’opinione pubblica.
Abbiamo chiesto a Marianna Valletta, fondatrice di Valletta Relazioni Pubbliche, come si affronta questo tipo di partita. L’agenzia di relazioni pubbliche indipendente milanese, partner fondatore dell’alleanza globale di agenzie specializzate Mirovia, riconosciuta soprattutto nell’ambito della comunicazione per il settore legale, oltre a supportare studi legali nazionali ed internazionali, imprese ed istituzioni nella valorizzazione della loro reputazione e immagine sul mercato, affianca i propri clienti nella gestione dei cosiddetti “casi mediatici”.
Cosa vuol dire vincere davanti alla corte dell’opinione pubblica?
Che si supporti la strategia di accusa o della difesa, vincere davanti all’opinione pubblica significa innanzitutto portare i pubblici sulla propria posizione, disinnescare eventuali ostilità e offrire una versione dei fatti il più possibile favorevole. Poi c’è il tema della salvaguardia della reputazione.
Quando sotto accusa c’è l’operato di un’azienda o di un professionista, che lavora in un contesto di relazioni di fiducia con suoi stakeholder, il rischio non è solo una questione legale ma reputazionale. I tempi dei media e quelli della giustizia sono molto diversi e sono innumerevoli i casi in cui un’accusa infondata si trasforma in una condanna da parte dei pubblici. Indipendentemente dal corso della giustizia, la reputazione va difesa sui media con gli strumenti della comunicazione.
Voi cosa vedete nel vostro lavoro quotidiano?
I casi più frequenti capitano nell’ambito del penale societario, i cosiddetti “colletti bianchi”, a volte anche con dimensioni internazionali. Poi ci sono le liti commerciali e le class action ma negli anni abbiamo soprattutto seguito diversi casi di crisi di impresa.
La gestione della comunicazione nell’ambito della crisi di impresa, così come nelle ristrutturazioni aziendali, è estremamente sottovalutata, ma di fondamentale importanza. Ogni informazione ha il potere di suscitare preoccupazione o fornire rassicurazione alle diverse parti coinvolte: sindacati, dipendenti, istituzioni, investitori, fornitori, territori, istituti di credito e non ultimi, i clienti.
Davanti a questi momenti complessi come reagiscono le imprese?
Spesso le aziende preferiscono mantenere il silenzio, soprattutto se stanno fronteggiando difficoltà tali da mettere in forse la loro stessa esistenza o la loro reputazione. Ma l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica davanti a certe situazioni è sempre molto forte.
Ci sono interessi in gioco importanti per cui è indispensabile offrire informazioni corrette e se possibile rassicuranti. Rinunciare a governare la divulgazione delle informazioni per una guerra di trincea porta solo al logoramento e a fronteggiare chiacchiericci incontrollati estremamente dannosi.
Se c’è un legittimo interesse pubblico, la stampa non ammette “buchi” e parlerà del caso con o senza il consenso (e la versione) dei diretti interessati. Mi pare che a volte si sottovalutino le conseguenze di una crisi reputazionale. Quello che non bisognerebbe mai dimenticare è che anche la reputazione aziendale ha un valore e si traduce in un valore economico.
Invece come suggerisce di operare?
È necessario arginare il più possibile una rappresentazione parziale e negativa della vicenda. La condizione peggiore è quella di un racconto lacunoso e fazioso o parziale. Per questo conviene rendersi disponibili e provare ad incanalare il flusso di informazioni in modo da mostrare la versione più corretta possibile.
Molto importante si rivela agire in tempi stretti, preparare dichiarazioni puntuali, precise e intaccabili. Ma è necessario anche attivare contromisure sui social media e sul web in generale. A volte basta mandare la dichiarazione giusta al momento giusto per far emergere la corretta interpretazione di una vicenda sui media e presso i vari pubblici. Questo aiuta ad avere un’opinione pubblica in qualche modo più consapevole. Ed è molto importante.
Cosa succede se non si interviene?
La stampa parlerà sulla base delle informazioni che sarà in grado di reperire. Con tutte le conseguenze del caso, come dichiarazioni rese da controparti, informazioni errate o parziali e rumors riportati come fatti.
Qual è l’aspetto più difficile?
Il tema che mi affligge di più, che realmente mi addolora, è quello della gogna mediatica. Limitare i danni alla reputazione di una persona o di una azienda è fondamentale proprio in quest’ottica. Salvaguardare la reputazione è veramente uno dei temi del presente, ma soprattutto del futuro con tutti gli echi e gli strascichi legati al web e ai social.
Quali sono i temi sui quali lavorerete di più prossimamente?
Certamente su casi di greenwashing e di liti in ambito Esg. La sostenibilità è diventata parte integrante del business delle imprese, ma dichiararsi green quando non lo si è davvero nei fatti, ingannando il consumatore, l’investitore o l’azienda cliente è rischioso, non solo dal punto di vista reputazionale.
Nel contesto attuale ci aspettiamo un aumento dei casi soprattutto per i settori finanziario, dell’energia e nel B2B.
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