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Sean Penn sull’utilizzo dell’AI a Hollywood: “Non è morale”

Durante il recente Festival del cinema di Toronto, in un’intervista alla rivista americana Variety, Sean Penn, supportando lo sciopero SAG-AFTRA, che dopo 118 giorni pare aver raggiunto ufficialmente un accordo provvisorio su un nuovo contratto triennale con gli Studios, ha espresso la sua visione sull’AI a Hollywood.

Per Sean l’AI rappresenta anche “una mancanza di moralità”. L’attore ritiene inaccettabile, irrispettoso e meschino che le sembianze e la voce degli attori siano utilizzati per usi futuri dell’AI senza compenso.

“Non si tratta di business, ma di una proposta indecente. È un insulto che ci si aspetti che gli attori non vengano pagati per questo”, ha ribadito. Sean ha sottolineato come da sempre gli artisti non siano rispettati al punto che ci si aspetti spesso da loro che lavorino gratis o sottopagati, evidenziando il problema dello sfruttamento degli artisti da parte di case di produzione, case editrici, persone di potere che se ne approfittano.

A Toronto, Sean ha presentato il suo nuovo film Daddio con Dakota Johnson, che è anche produttrice. Racconta il viaggio in taxi dall’aeroporto JFK a Manhattan di due sconosciuti, una programmatrice e un autista, che si raccontano le loro esistenze, come i loro problemi, rispecchiando due generazioni a confronto e il nuovo mondo.

Ma Sean ha promosso, prima di tutto, il suo documentario Superpower, sul presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy, che aveva già portato al Festival del cinema di Berlino.

Il documentario si focalizza sulla leadership di Zelensky durante l’invasione della Russia e promuove il lancio della fondazione americana Humanity for Freedom.

Ci siamo sentiti inizialmente via Zoom. Ho avuto il primo incontro con Zelenskyy per questo documentario e abbiamo filmato il 22-23 febbraio 2022, prima che la Russia invadesse l’Ucraina. All’inizio Superpower si doveva focalizzare su Zelenskyy e sul suo percorso, come un attore comico fosse divenuto presidente, ma la guerra ha cambiato tutto. Così, ho finito per fare diversi viaggi in Ucraina per intervistare ancora lui e altri personaggi, come la gente comune. 

Questo documentario serve a supportare l’Ucraina in questo difficile momento.

Sì, ci tengo molto che Superpower sia un mezzo per creare consapevolezza sulla lotta dell’Ucraina per la libertà e la giustizia. Zelenskyy, anche se era scoppiata la guerra, non ha esitato un attimo a partecipare al documentario. Credo che abbia realizzato come potesse essere perfino questo uno strumento di lotta. Inoltre, essendo un grande leader, si rende conto di come in questo nuovo mondo, dominato dalla tecnologia, ogni forma di comunicazione sia importante.  

Lei ha visitato l’Ucraina in fasi davvero difficili. Non ha avuto paura?

Sono fortunato di fare una professione che mi permette di viaggiare dove e quando voglio. Al tempo stesso so quanto sia importante essere in un luogo di persona per conoscere i fatti e la verità. Era una necessità per me. E sono consapevole di quanto la mia fama mi possa far accedere a luoghi e persone che altrimenti non potrei mai raggiungere. Questo mi rende ancora più responsabile di fare la cosa giusta. Del resto ho vissuto tutta la mia esistenza per le cause in cui credo.

Cosa l’ha impressionata di più dell’Ucraina?

La forza della resistenza, come la forza che unisce la gente. Putin ha commesso un errore orribile per tutta l’umanità. Il popolo ucraino si è distinto invece per il suo coraggio e per i suoi principi.

Pensa che Superpower aiuterà questo popolo?

Mi auguro che vedendo la realtà, che rendendosi conto cosa accade davvero in Ucraina, la gente sia spronata ad aiutare, a sostenere questo paese finanziariamente anche, perché investire in loro, aiutarli, è un futuro migliore per il mondo, è il futuro della democrazia.

Da dove nasce questo suo spirito avventuroso?

Dal fatto che sono molto curioso, ma mi considero un esperto di nulla. Con gli occhi del principiante si può arrivare lontano. 

Le sue idee sono state spesso ritenute estreme o controverse: non ha mai temuto di dire quello che pensa?

Per me essere un uomo significa avere il coraggio di intervenire.

Ha lavorato più volte perfino come giornalista, realizzando interviste con leader politici e figure controverse come il leader venezuelano Hugo Chávez, il leader cubano Raúl Castro, il leader del cartello di Sinaloa, detto El Chapo.

Per me è una missione combattere lo status quo e confrontarmi con situazioni diverse. I miei ideali vengono prima di tutto. Sono un attivista. Amavo recitare, per questo sono diventato un attore, ma non avrei mai immaginato di raggiungere la fama. Amo il giornalismo sociale e l’impegno, quello che testimonia le guerre, le ingiustizie, come la povertà nei Paesi del Terzo mondo.

Una delle più grandi ingiustizie? I traduttori che abbiamo lasciato quando ci siamo ritirati dall’Afghanistan. Avevano lavorato per il governo americano, avevamo promesso loro un visto e ora vivono nascosti con le loro famiglie, considerati dei traditori, costantemente in pericolo di vita (in questo tema da vedere anche il film The Covenant di Guy Ritchie, con Jake Gyllenhaal, n.d.r.). 

Lei è anche un grande filantropo. Nel documentario Citizen Penn del 2020 ha raccontato la creazione della sua organizzazione senza scopo di lucro Community Organized Relief Effort, co-fondata insieme ad Ann Lee. 

CORE è stata inizialmente costituita per il terremoto di Haiti nel 2010, ma si è poi sviluppata in tutto il mondo su diversi fronti. Ha lo scopo di portare aiuto e sostegno alle comunità sotto-rappresentate e vulnerabili in tutto il pianeta. Durante il Covid-19, per esempio, abbiamo schierato squadre per aiutare con i test e i vaccini e renderli disponibili a tutti. Guardiamo alle radici della crisi e lavoriamo per fornire soluzioni, sia a breve che a lungo termine.

Alcuni dei nostri progetti riguardano piani agricoli per combattere gli effetti del cambiamento climatico, la creazione di scuole, la collaborazione con partner e governi locali per fare crescere nuovi e giusti leader, l’assistenza per aiutare gruppi a basso reddito e le comunità di colore, da sempre discriminate e che divengono ancora più vulnerabili durante le crisi. 

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