Annalisa Muccioli
Innovation

Braccia meccaniche e strutture sottomarine: i robot di EniProgetti che aiutano la transizione energetica

Il robot si chiama Clean Sea e può operare 1.200 metri sotto il livello del mare. È basato su un veicolo autonomo sottomarino, integrato con un sistema di controllo del movimento e telecamere ad alta risoluzione. Usa sensori e apparecchiature per rilievi in acqua, intercambiabili a seconda delle missioni. È attivo dal 2016 e negli ultimi anni è stato adattato per il monitoraggio nei siti di stoccaggio di anidride carbonica offshore. È in grado di monitorare l’integrità degli asset e dell’ambiente sottomarino, misurare parametri oceanografici come temperatura, profondità, conducibilità, torbidità e pH, svolgere rilievi geofisici e raccogliere campioni d’acqua. Da un anno è affiancato da un altro robot, Lander Ccs, una struttura residente sottomarina che monitora i parametri chimici e fisici della colonna d’acqua, trasmette dati su richiesta e fornisce una mappatura continua di quanto avviene sotto il mare. Costruita su un telaio di alluminio, è alimentata a batteria e sfrutta un’elettronica a basso consumo che le garantisce un’autonomia di dieci mesi.

Entrambi i robot sono stati pensati, testati e realizzati nei laboratori di Venezia di EniProgetti, la società di ingegneria di Eni nata nel 2017, che racchiude competenze maturate fin dagli anni ’70. Oltre a quelli per la cattura e lo stoccaggio della CO2, EniProgetti fornisce servizi anche per tutte le altre attività Eni: tra le altre, gas, eolico, fotovoltaico, bioraffinerie, fusione a confinamento magnetico. Ha circa 1.000 dipendenti divisi in sette centri esecutivi, tra Italia, Regno Unito, Kazakistan ed Egitto. “L’esistenza di una società di ingegneria in una compagnia energetica è un caso unico”, dice l’amministratore delegato di EniProgetti, Annalisa Muccioli. “Le altre aziende che hanno internalizzato le competenze di ingegneria di solito hanno solo una divisione o un dipartimento dedicato”.

L’ingegneria interna di Eni

Tra i vantaggi della costituzione di una società specializzata, spiega Muccioli, ci sono l’allineamento con l’evoluzione e la strategia di Eni, la flessibilità e la velocità di esecuzione. “In altre compagnie, dopo aver elaborato un progetto, bisogna coinvolgere società terze per sviluppare l’ingegneria e costruire gli impianti. Ogni partner comincia da un foglio bianco: deve capire dove è finito e con chi lavora, deve partecipare a una gara. Fare tutto in casa significa conoscere già il sistema e potere partire subito. Il risultato è che i tempi di sviluppo medi dei progetti Eni sono circa la metà di quelli di un player medio”. La gestione interna aiuta anche in caso di modifiche in corso d’opera. “Quando si lavora con terzi, qualsiasi intoppo comporta la gestione contrattuale con altre società. Il nostro modello è più agile e flessibile. Se manca un documento, lo si redige subito. Se i lavori si fermano per un mese perché un’autorizzazione tarda, nell’attesa dirottiamo gli sforzi altrove”.

Muccioli, ingegnere gestionale, è diventata amministratore delegato di EniProgetti nel 2021, dopo sette anni nel settore gas & power e cinque a diretto supporto dell’ad di Eni. “Questa esperienza mi ha dato grande apertura mentale, che è la chiave per innovare”, racconta. “Chi dirige deve definire obiettivi chiari e spiegare la visione dell’azienda, ma anche ascoltare, responsabilizzare, delegare e dare fiducia”.

Una squadra eterogenea

Data la varietà di iniziative in cui EniProgetti è coinvolta, Muccioli è chiamata a gestire un organico con competenze molto eterogenee. “Si tratta di un valore aggiunto”, sottolinea. L’importante è “definire processi rigorosi, indispensabili per far interagire specialisti di ambiti diversi” e allo stesso tempo “mantenere viva la capacità innovativa. Quando si fissano modalità di lavoro precise, il rischio è che le persone si limitino ad allinearsi allo standard. Invece vanno stimolate a non accontentarsi: non bisogna mai smettere di cercare un modo migliore per fare le cose”. In EniProgetti ci sono esperti di processi chimici e industriali, ingegneri civili, edili ed elettrici con conoscenze impiantistiche classiche e specialisti di alcune tecnologie. “Per i progetti offshore, ad esempio, abbiamo persone con competenze strutturali, navali e di opere marittime costiere. E poi c’è la squadra del centro di Venezia, dedicata all’ingegnerizzazione dei progetti che nascono dai laboratori di ricerca Eni, che ha competenze di robotica, automazione, meccatronica e sensoristica avanzata”.

Oltre ai sistemi impiegati nello stoccaggio dell’anidride carbonica – leva fondamentale della strategia di decarbonizzazione di Eni -, dal centro di Venezia sono usciti altri robot. Uno, Roger, è un drone per il monitoraggio di ambienti complessi in assenza di segnale Gps, tipici di uno stabilimento industriale. “Non esistevano droni in grado di volare nei nostri impianti”, ricorda Muccioli. “Siamo partiti da un drone commerciale e abbiamo ragionato su come adattarlo. Il progetto nasce dalla profonda conoscenza delle nostre realtà industriali, delle esigenze dei colleghi e di cosa è presente sul mercato. EniProgetti ha le competenze per sviluppare strumenti che ancora non esistono”.

Un braccio meccanico per l’energia da fusione

Un altro robot servirà per uno dei progetti più ambiziosi di Eni e dell’intera industria: la produzione di energia da fusione, la reazione in cui due atomi leggeri si uniscono per formarne uno più pesante. Per replicare sulla Terra la fusione, che avviene in natura nel nucleo delle stelle, occorre portare gli atomi a temperature di oltre 100 milioni di gradi. Gli scienziati lavorano a un modello di reattore a ciambella chiamato tokamak, un acronimo russo che sta per ‘camera toroidale con spire magnetiche’. Eni collabora dal 2019 al progetto Divertor Tokamak Test di Enea per sperimentare il componente, chiamato ‘divertore’, che dovrà gestire le grandi quantità di calore sviluppate nella camera di fusione. Nel 2018 ha investito in Commonwealth Fusion Systems, uno spin-out del Mit.

EniProgetti, in particolare, lavora a un braccio meccanico per la manutenzione. “Potrà reggere pesi di centinaia di chili, dovrà manipolare elementi dell’impianto di fusione a confinamento magnetico, estrarli, spostarli in una camera isolata, manutenerli, sostituirli e riapplicarli nella ciambella”, spiega Muccioli. La sua società si occupa anche del cosiddetto balance of plant, cioè di tutto ciò che sta intorno alla macchina: connessioni elettriche, materiali, conversione dell’energia termica in energia elettrica, strutture necessarie per garantire il corretto funzionamento. “Possono sembrare questioni semplici, ma parliamo di macchine che raggiungono temperature di milioni di gradi. In quelle condizioni, nulla è banale”. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .