a cura di Paola Corte partner dello Studio Legale Corte
Le indicazioni ambientali e di sostenibilità orientano sempre più spesso le scelte dei consumatori, ma ci sono studi che dimostrano che circa la metà delle indicazioni usate oggi sono vaghe, infondate o ingannevoli. Per questa ragione l’Europa si è mossa per rafforzare significativamente la tutela dei consumatori dalle pratiche di “greenwashing” e dalle indicazioni di sostenibilità fuorvianti.
Lo ha fatto innanzitutto con una direttiva che stabilisce che alcune delle pratiche commerciali oggi comunemente utilizzate sul mercato riferite agli aspetti ambientali e di sostenibilità siano ingannevoli e dunque vietate. La direttiva 2024/825, pubblicata il 6 marzo, pone quindi una serie di divieti e di obblighi generici di trasparenza.
Il codice del consumo
In attesa che la nuova direttiva sia implementata nel nostro sistema giuridico, la protezione dei consumatori da claim ambientali e di sostenibilità ingannevoli viene attualmente fornita attraverso le norme generali del codice del consumo.
La nuova direttiva porterà all’inserimento di nuove regole più specifiche nel codice del consumo in ordine a green claim e sostenibilità, rendendo quindi più semplice l’individuazione e la contestazione delle pratiche decettive da parte delle autorità. Alcune di queste pratiche sono piuttosto intuitive, e già oggi punite.
Si tratta ad esempio del caso in cui si faccia una dichiarazione ambientale riferita ad un intero prodotto, quando in realtà il beneficio riguarda solo un certo aspetto del prodotto (es: dichiarare prodotto riciclabile, quando solo il packaging è riciclabile). I divieti imposti su altre pratiche commerciali avranno invece un impatto molto più importante sul mercato.
Marchi di sostenibilità e certificazioni
La stretta forse più significativa della direttiva è quella relativa ai marchi di sostenibilità, ossia quelli che coprono gli aspetti ambientali, gli aspetti sociali, o entrambi. Per esibire un marchio di fiducia di questo tipo, che sia pubblico o privato, occorrerà utilizzare un marchio stabilito dalle autorità pubbliche (es. in Italia, il marchio “Made Green in Italy), oppure basarsi su un sistema di certificazione che sia conforme alla direttiva.
Questo comporta la necessità di basarsi su uno standard aperto a tutti gli operatori, con condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie, che sia frutto di una consultazione con gli esperti pertinenti e i portatori di interessi. La verifica del rispetto di tale standard dovrà essere effettuata da un soggetto terzo rispetto sia al titolare dello standard, che all’operatore che vanterà la certificazione. Non potranno più quindi trovare spazio, ad esempio, i marchi di sostenibilità basati sul rispetto di standard fatti ad hoc per una determinata azienda, che sono oggi piuttosto diffusi.
Impatto zero e neutralità climatica
Altra grande novità è data dal fatto che i claim sull’impatto in termini di gas a effetto serra (GHG) o di CO2 saranno consentiti solo se si basano sull’impatto effettivo del ciclo di vita del prodotto in questione. La direttiva pone un divieto assoluto di vantare un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di GHG, sulla base della compensazione. Tali claim, che sono oggi diffusissimi, sono considerati ingannevoli a causa della confusione che si crea tra la effettive riduzione delle emissioni, e la compensazione. Il divieto non impedirà alle imprese di pubblicizzare i loro investimenti in iniziative ambientali, compresi i progetti sui crediti di carbonio, purché le aziende forniscano tali informazioni in modo non ingannevole, e conforme ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Ue.
Dichiarazioni sulle prestazioni ambientali future
C’è poi una stretta su tutti i claim riferiti alle prestazioni ambientali future. Attualmente molte dichiarazioni ambientali utilizzate dagli operatori si riferiscono a cambiamenti in corso e agli obiettivi che gli operatori stanno lavorando per raggiungere entro una determinata data. Ciò è in parte dovuto al fatto che il miglioramento delle prestazioni ambientali dei prodotti richiede tempo, e le aziende cercano di comunicare i loro sforzi, anche prima che gli obiettivi siano raggiunti.
Secondo la nuova direttiva, la formulazione di claim ambientali relativi a prestazioni ambientali future potrà essere fatta, ma sarà sottoposta a delle condizioni per assicurarne la veridicità e la trasparenza: dovrà necessariamente basarsi su un piano dettagliato e verificabile per ottenere questi risultati, che includa impegni chiari ed oggettivi, oltre agli elementi pertinenti necessari per sostenerne l’attuazione, come l’assegnazione delle risorse. Il piano dovrà essere pubblicamente disponibile e verificabile. Gli obiettivi dovranno essere misurabili e con scadenze precise, che dovranno essere verificate periodicamente da un soggetto terzo indipendente, le cui conclusioni dovranno essere messe a disposizione dei consumatori.
Greenwashing e claim generici
La direttiva dà un importante giro di vite anche ai green claim generici: espressioni come “green”, “ecocompatibile”, “rispettoso dell’ambiente”, cioè quelle asserzioni ambientali che non siano incluse in un marchio di sostenibilità, e la cui specificazione non sia fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso supporto o mezzo di comunicazione.
Sarà sempre vietato formulare green claim generici per i quali l’operatore economico non sia in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti. L’eccellenza riconosciuta si avrà solo quando le prestazioni ambientali siano conformi al Regolamento Ecolabel, a un sistema nazionale o regionale di assegnazione di marchi di qualità ecologica di tipo I in conformità della norma En Iso 14024, ufficialmente riconosciuto negli stati membri, oppure conformi alle migliori prestazioni ambientali ai sensi delle altre disposizioni comunitarie.
Inoltre, la direttiva chiarisce un aspetto importante: ambientale e sostenibile non sono la stessa cosa. Esplicita che un’azienda non dovrebbe fare dichiarazioni generiche come “consapevole”, “sostenibile” o “responsabile” basate solo sulle prestazioni ambientali eccellenti, poiché tali dichiarazioni implicano altre caratteristiche, oltre a quelle ambientali, come le caratteristiche sociali.
Sanzioni e termini per l’adeguamento
La direttiva Ue 2024/825 si limita per ora a stabilire le pratiche vietate, e impone alcune misure di trasparenza con riferimento ad specifiche pratiche. Le pratiche commerciali ingannevoli vietate sono punite con sanzioni molto rilevanti, tra i 5 mila ed i 10 milioni di euro. Il termine previsto per l’applicabilità della direttiva 2024/825 è il 27 settembre 2026. Questo termine non deve però essere considerato un lasciapassare delle pratiche vietate per i prossimi due anni e mezzo. Alcune delle pratiche regolate dalla direttiva Ue 2024/825 sono infatti già oggi considerate ingannevoli sulla base dell’interpretazione delle norme generali. Inoltre, l’adeguamento delle strategie in termini di sostenibilità richiede molto tempo, e occorrerà dunque valutare attentamente i rischi delle attuali strategie di comunicazione green di molte aziende, eventualmente implementando i cambiamenti il prima possibile.
La proposta
Nelle valutazioni strategiche di sostenibilità di medio periodo, occorrerà poi anche tenere in considerazione il fatto che nei progetti dell’Ue c’è una stretta ulteriore sui claim ambientali. E’ infatti in fase avanzata di elaborazione a livello Ue la “Green Claims Directive”, che prevederà regole molto più rigide sulla fondatezza e la comunicazione dei green claim.
Nella versione attualmente in discussione tra le istituzioni europee, questa seconda direttiva dovrebbe arrivare a richiedere la verifica preventiva di tutti i claims ambientali da parte di un ente terzo, e l’onere di fornire una lunga serie di informazioni ai consumatori in ordine a ciascuna asserzione. Su questa proposta è stata pubblicata il 12 Marzo la posizione del Parlamento europeo, secondo la quale le violazioni potrebbero essere punite con sanzioni determinate in percentuali del fatturato delle aziende. La procedura per l’approvazione della seconda direttiva dovrebbe riprendere dopo le elezioni europee di giugno.
Il futuro dei green claim
Assicurare che le dichiarazioni ambientali e di sostenibilità sociale siano chiare e attendibili avrà indubbiamente dei vantaggi. Consentirà alle imprese di competere su un terreno equo, e permetterà ai consumatori di premiare le aziende più virtuose attraverso scelte di consumo sostenibili. Dall’altro, queste regole renderanno necessario un adeguamento delle attuali strategie di marketing di molte aziende. L’entità delle sanzioni e l’impegno richiesto per poter effettuare claim ambientali potrebbe essere tale, soprattutto in caso di approvazione della Green Claims Directive, da scoraggiare alcuni operatori. E poiché è difficile pensare che le aziende investano nel settore della sostenibilità senza poter poi comunicare i loro sforzi ed avere un ritorno, il rischio è ora che l’eccessivo appesantimento degli oneri e delle regole di comunicazione dei green claims possa avere addirittura l’effetto di scoraggiare non solo la comunicazione, ma anche gli investimenti in questo settore.
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