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“Sarà un anno complesso per la calzatura italiana”. Così Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici

Il comparto calzaturiero italiano ha chiuso il 2023 con un fatturato a 14,6 miliardi di euro, in debole crescita (+0,9%) sul 2022 (anno in cui l’Italia si è confermata di gran lunga il primo produttore di calzature dell’Unione Europea) sostenuto in particolare dall’export. Anche se possiamo dire che non stia soffrendo, però, l’attuale quadro geopolitico incerto impone certe riflessioni sul lungo periodo, che tengano conto di nuove sfide come sostenibilità e digitalizzazione.

Una figura di grande esperienza nel settore è Giovanna Ceolini, oggi presidente di Assocalzaturifici, associazione che sostiene, promuove e cura gli interessi dell’industria calzaturiera nazionale in Italia e nel mondo, coordinando e seguendo il mercato europeo.

Con circa 500 aziende iscritte, l’ente è portavoce dell’eccellenza del settore calzaturiero italiano che, nel suo insieme, fattura oltre 14 miliardi di euro, occupa più di 72mila addetti ed esporta l’85% della produzione.

Ceolini, imprenditrice italiana ed amministratore unico di Parabiago Collezioni, fondata nel 1999, dovrà affrontare ora le nuove scommesse del suo mandato, per difendere l’artigianalità tradizionale delle lavorazioni italiane. Focus fino a giugno 2027 su sostenibilità, digitalizzazione, innovazione, Made in Italy, terzismo e formazione, per fare del calzaturiero un comparto attrattivo per i giovani.

Abbiamo chiesto all’imprenditrice e manager di fotografare per noi l’attuale quadro del comparto e anticiparne gli scenari futuri.

Quanto hanno inciso gli effetti della crisi del 2008-2009 sul comparto e come  sta reagendo quest’ultimo nel periodo post-pandemico?

La crisi del biennio 2008-2009 ma soprattutto il biennio pandemico, segnato peraltro dal rincaro delle materie prime e dal rialzo dei costi della logistica, si fanno sentire ancora nel fatturato del nostro comparto. Specie a livello di consumi e del saldo del numero di addetti e imprese.

Risalire, dopo fenomeni di questa portata, non è mai semplice e necessita tempo. Auspichiamo che i driver della sostenibilità e della digitalizzazione possano risollevare le imprese in uno scenario complesso non solo nel nostro comparto ma a livello globale.

Quali saranno i principali impegni del suo mandato?

Anche se ci attende un futuro pieno di sfide impegnative, questa conferma mi gratifica e certifica la bontà del lavoro svolto finora. Nel mio programma, ho indicato alcune priorità per sostenere le nostre imprese.

In primis l’internazionalizzazione, per continuare a promuovere il Made in Italy calzaturiero nel mondo, consolidando i mercati maturi e ricercando nuove opportunità in quelli emergenti. Poi la collaborazione con i principali istituti tecnici e le scuole professionali per favorire il ricambio generazionale.

Sostegno profuso, inoltre, alle politiche fieristiche a partire da MICAM Milano, la più importante manifestazione al mondo del settore. Fra i progetti in cantiere c’è anche la riorganizzazione dei padiglioni, il potenziamento dell’area MICAMX, con un’attenzione particolare ai contenuti dei seminari, alla sezione dedicata al retail del futuro, alla comunicazione e agli eventi.

Non mancherà un consolidamento del Cimac, laboratorio specializzato nei test per l’industria calzaturiera e la moda, che assicura la qualità e l’eccellenza del prodotto e la conformità agli standard globali. Di fatto, rafforzeremo il supporto alle imprese, in un quadro normativo sempre più complesso, attraverso servizi di testing e certificazione.

Il comparto calzaturiero italiano ha chiuso il 2023 con un fatturato a 14,6 miliardi di euro, in debole crescita sul 2022. Cosa dobbiamo aspettarci nel 2024 alla luce dell’attuale quadro geopolitico?

Il 2023 ha avuto per il calzaturiero italiano un andamento ondivago. Alle performance brillanti del primo trimestre, con aumenti a doppia cifra per export e fatturato, è seguito un progressivo rallentamento.

Quest’anno è iniziato manifestando segnali preoccupanti e prevediamo un’ulteriore frenata almeno nel primo semestre. Una congiuntura determinata dal difficile scenario internazionale, dominato da eventi e rischi geopolitici, e dalle condizioni finanziarie restrittive per famiglie e imprese. Inoltre, da un sondaggio promosso verso i nostri associati, gran parte di essi ritengono che la ripartenza non avverrà prima del 2025. Al momento non è facile lanciarsi in previsioni, ma sicuramente sarà un anno complesso.

Quanto ci costa la continua migrazione delle maison italiane verso i conglomerati francesi?

Gli anni della pandemia hanno di fatto sconvolto gli equilibri e le regole della moda, specie in Italia. Il mondo del fashion ha dovuto ripensare il proprio modus operandi, premendo l’acceleratore sullo sviluppo digitale e sulla sostenibilità, essendo obbligata dunque a realizzare investimenti rilevanti.

Il nostro Paese è ancora considerato insieme alla Francia il maggior produttore di top di gamma e fascia elevata ma è composto da aziende di dimensioni minori dei cugini transalpini. In effetti, negli ultimi anni abbiamo registrato molte operazioni di acquisizioni e fusioni da parte dei francesi perché, per varie ragioni, le nostre imprese hanno scelto questa via per mantenere la competitività. Vedremo in futuro se questa politica sarà stata proficua o deleteria per il nostro comparto.

In che modo spingerete sull’internazionalizzazione?

Cercheremo di farci supportare dal Governo per aiutare le aziende a partecipare alle fiere internazionali e a esplorare nuovi mercati. In un situazione geopolitica in continua evoluzione è una scelta d’obbligo.

Inoltre, ci stiamo attivando per la ricostituzione di tavoli di confronto sperando emergano idee innovative e nuovi progetti come il Laboratorio Russia e area CSI, quello Usa, Medio-Oriente, Asia, Europa.

So che compierete anche uno sforzo importante per difendere l’artigianalità delle lavorazioni italiane. 

Sempre più imprese stanno virando verso logiche produttive di lavorazioni conto terzi, meglio conosciute come Cdmo (contract development and manufacturing organization).

Questo segmento di aziende deve essere valorizzato: la nostra filiera produttiva è apprezzata e riconosciuta dai grandi gruppi internazionali del lusso che fanno realizzare le proprie produzioni alle nostre imprese manifatturiere. Solo in questo modo possiamo davvero difendere il Made in Italy, ma soprattutto salvare i nostri posti di lavoro.

Verrà pertanto istituito un tavolo ad hoc che si occuperà di trovare sinergie con i grandi gruppi che in questo momento la fanno da padroni a discapito delle maestranze e delle aziende manifatturiere.

Come funziona Verified and Certified Steps, primo marchio di certificazione della sostenibilità per il settore calzaturiero?

Sin dal suo debutto, VCS – Verified and Certified Steps, il primo marchio di certificazione della sostenibilità per il settore calzaturiero, ha suscitato l’interesse delle aziende del comparto.

Si tratta di uno schema che sensibilizza le imprese all’adozione di una strategia completa sulla sostenibilità lavorando sui processi interni, la tracciabilità della filiera, la raccolta e l’organizzazione delle informazioni con un sistema di procedure di miglioramento e avanzamento rispetto ai più diffusi parametri e standard internazionali sulla sostenibilità.

Ritengo abbia un grandissimo valore in un mercato che guarda sempre di più a beni sostenibili prodotti da aziende sostenibili. Stiamo semplicemente accelerando dei processi fondamentali per le aziende che vogliono vincere la sfida dei mercati. Deve essere chiaro che ormai il consumatore non è più solo attento al rapporto qualità-prezzo ma va alla ricerca di maggiori garanzie nella qualità del prodotto e nella tracciabilità della filiera.

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