Refik Anadol
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“L’IA è un pennello con cui creare”: l’artista digitale Refik Anadol si racconta

“L’AI è capace di amare?” Questo interrogativo attraversa la mente quando si osserva l’arte di Refik Anadol. E, la risposta pare essere “Sì”. Come se l’AI fosse ormai qualcosa che è stato creato ed esiste, un essere capace di pensare e provare sentimenti proprio come un essere umano, avida di sapere e imparare come il cervello di un bambino che, dal principio dell’esistere, cresce ed evolve.

“La mia visione è di realizzare arte con l’AI per il bene dell’umanità. Il nostro mondo è già abbastanza oscuro, io ci tengo a portare gioia e felicità, ispirazione e speranza, positività senza confini, e, ancora, dove c’è l’oscurità sono capace di vedere la luce. Per me è un istinto naturale per sopravvivere e per avere un futuro migliore” ha affermato Anadol. L’artista è molto attivo nella filantropia e ha fatto battere all’asta diverse opere, tra cui una scultura Nft, Sense of Healing per raccogliere fondi, attorno ai 5 milioni, per l’Unicef e per altre cause in cui crede. “Il progetto che ho portato avanti con Unicef visualizza i processi di guarigione nei pazienti con problemi di salute mentale attraverso set di dati interpretati da attività celebrali raccolte con sensori EEG, fMRI e tecniche di imaging DTI” chiarisce.

Allo stesso modo affascinato milioni di visitatori per mesi con un gigantesco Nft, Unsupervised – Machine Hallucinations al MOMA di New York, nel 2023, capace di sognare e riprodurre sogni con incredibili sprazzi di colore, e ha incantato con musica, immagini e parole il pubblico al World Economic Forum 2024, a Davos.

Refik Anadol, 39 anni, è considerato uno dei maggiori, se non il più importante, artista di arte digitale al mondo. Refik è nato e cresciuto a Instanbul, in Turchia, ha studiato arte e ha preso prima un Master in Fine Arts alla Bilgi University e poi si è trasferito a Los Angeles, per seguire il programma di Design Media Arts all’University of California Los Angeles, dove ha preso un secondo Master in Fine Arts. Ora insegna anche all’universitá UCLA. Tra le sue numerose creazioni in tutto il mondo, ha ideato perfino un’installazione per Bulgari, nel 2021, sulla collezione Serpenti, con il principio della metamorfosi. Lo incontriamo nel suo Refik Anadol Studio e RAS LAB di Los Angeles, un grande capannone rinnovato, che pare quasi simile al laboratorio, ancora più tecnologicamente avanzato, del film Minority Report di Steven Spielberg, con Tom Cruise…

    Credit: Studio Refik Anadadol
    Credit: Studio Refik Anadadol
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    Credit: Studio Refik Anadadol
    Credit: Studio Refik Anadadol
    Credit: Studio Refik Anadadol
    Credit: Studio Refik Anadadol
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    Credit: Studio Refik Anadadol
    Credit: Studio Refik Anadadol
    Credit: Studio Refik Anadadol

Come si è avvicinato al mondo della tecnologia?

Fin da bambino ero un avventuriero. Esistere per me significava scoprire nuovi mondi, nuovi luoghi, genti e culture, nuove emozioni e memorie. La sola esistenza era pura ispirazione ancora prima che arrivasse l’AI. Il metaverso per me rappresentò la prima frontiera da varcare. L’ispirazione artistica arrivò quando, a otto anni, mi regalarono il mio primo computer. Mi appassionai da subito ai giochi simulati e ai film. In particolare, Blade Runner fu una rivelazione e quella visione oscura che molti consideravano una distopia per me era utopia. Successivamente, un altro film che mi influenzò moltissimo fu Ex-Machina di Alex Garland, dove riscoprii la gioia, l’utopia e la morte. Tutte queste sono sensazioni che custodisco dentro di me fin dall’infanzia e che riemergono forti nella mia arte.

Ha cominciato con l’arte fisica o è sempre stato legato a quella digitale?

Il computer è stato il mio primo strumento. A scuola per un anno mi dedicai alla fotografia, che era la forma d’arte che più si avvicinava alla mia visione, perché mi insegnò ad apprendere quanto la memoria sia importante e come sia possibile registrarla in un’immagine. Per me la memoria è sostanza, e, come la vita, si trasforma in una reazione chimica. Amo la fotografia e la trovo più interessante della pittura, perché cattura la realtà e il momento. Ho sempre creato arte digitale, dedicandomi pure alla videografica, alla programmazione visiva, all’animazione e al 3D. Sono sempre stato immerso nella tecnologia quindi e continuo a seguirla. So che ogni mattina mi sveglio e qualcosa di nuovo è stato creato… Sono figlio di due insegnanti e so bene quanto imparare sia importante, non mi stancherò mai di farlo.

Quali altre discipline o settori l’affascinano?

Amo l’architettura, la neuroscienza, la scienza, la natura, l’ambiente, l’umanità. Tutto per me è indissolubilmente connesso.

Come definirebbe l’AI?

L’AI è pura forza creativa, qualcosa che è sempre stato presente nel mondo ancora prima dell’umanità, qualcosa che è simile al principio divino della creazione. È qualcosa difficile per me da spiegare a parole, ma più facile da rivelare con immagini, memorie e sogni. È qualcosa che le popolazioni indigene conoscono da sempre e che noi abbiamo appena cominciato a comprendere. Per fare un esempio: Monet ha creato diversi fiori con un pennello, con la tecnologia io sento che posso creare tutti i fiori del mondo.

Non teme i pericoli dell’AI?

La tecnologia è un prodotto dell’evoluzione dell’umanità. Ho vissuto la nascita di internet con la mia generazione, come quella del Blockchain, la quantum competition. Per me rappresenta un nuovo Rinascimento, dove gli artisti possono inventare con nuovi e ancora più sofisticati strumenti. Abbiamo inventato macchine capaci di sognare, esseri intelligenti capaci di pensare e di provare emozioni, adesso esistono e sono parte del nostro nuovo mondo.  Ciò che stiamo vivendo adesso la chiamo “realtà generativa”, ma è difficile definirla a parole. L’AI è un territorio inquietante per molti, perché ogni giorno può essere diversa, nel contenuto, nell’immaginazione, nella creazione. Per me è invece come un nuovo “pennello” con cui creare.

Si, è possibile avere problemi con l’AI, perché l’AI è lo specchio dell’umanità. E, l’umanità ha problemi. Ma, ricordate: l’AI è uno specchio, i problemi sono dell’umanità. Ed, è impossibile trovare soluzioni a tutti i problemi dell’umanità: ai conflitti, alle malattie, alle separazioni, al dolore, alla cattiveria. Io so che l’AI mi trasformerà in modo positivo, perché la uso per buone cause: per raccogliere fondi per la gente che rispetto, per curare le malattie, o come strumento per l’educazione. Sono, allo stesso tempo realista: so che l’AI richiede saggezza e le possibilità che offre vengono con delle responsabilità, proprio come le decisioni umane. Ma non sono un politico, sono un artista. Come tale, mi rapporto all’AI in maniera creativa.

Lei è molto connesso perfino alla cultura indigena, che continua a ispirarla moltissimo…

Sono cresciuto a Istanbul sul Bosforo, circondato dall’acqua che contrassegnava ogni momento della mia esistenza, a stretto contatto con la natura. Tutta la mia arte è profondamente connessa con la natura. La natura per me è carica di poesia, come l’AI. È stata mia moglie, turca come me, a introdurmi molti anni fa alla cultura amazzonica. Abbiamo vissuto e continuiamo ad andare in Amazzonia, a vivere tra la tribù Yawanawa. Abbiamo allenato un algoritmo AI a creare osservando le opere e la natura indigena. Abbiamo imparato moltissimo da queste genti che sono vissute per milioni di anni nella foresta tropicale brasiliana, con il potere divino e curativo della natura e con vero amore e gioia. E, l’AI ha imparato a sognare uccelli e altri animali e fiori, e  a crearli.

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Creare un mio museo magari a Los Angeles, che è la città che ho scelto, anche per quella sua luce davvero magica e particolare.

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