C’è uno spumante che non vede mai la luce, le cui uve passano dai tralci alla cantina e poi da lì alla bottiglia nella più totale oscurità.
È un metodo classico da uve Chardonnay vocato al buio, quello che viene prodotto in appena 2mila esemplari al confine tra Slovenia e Austria dall’azienda vinicola Radgonske Gorice: non a caso, lo spumante si chiama “Untouched by light” ed è già uno status symbol per gli amanti delle bevute fuori dall’ordinario.
Il costo è tutt’altro che proibitivo, rispetto ad altre bottiglie super-luxury: è sufficiente un centinaio di euro, per rientrare nel circolo di chi può dire di aver assaggiato qualcosa mai toccato dai raggi del sole o dalla luce elettrica durante il proprio ciclo di vita.
La realizzazione di “Untouched by light”
Per avere un’idea di come sia possibile arrivare alla realizzazione di “Untouched by light”, basti pensare che tutti i processi produttivi vengono svolti in assenza di luce, sin dalla vendemmia. Questa avviene nella regione della Gornjia Radgona, nelle notti senza luca, ed è effettuata a mano utilizzando occhiali per la visione notturna.
Per l’occasione, quando i mezzi portano i grappoli nella sede dell’azienda vinicola, vengono spenti i lampioni lungo la strada che porta alla cantina secolare – un’ex cava di ghiaccio, anch’essa completamente scura – dove lo spumante viene lasciato invecchiare per tre anni in bottiglie nere a prova di luce.
Gli occhiali con visore notturno tornano utili per tutte le operazioni di cantina come il remuage, la rotazione graduale delle bottiglie. Stesso discorso per il confezionamento, che avviene in sacchetti neri sigillati sottovuoto. Insieme alla bottiglia vengono anche forniti bicchieri dello stesso colore: ça va sans dire, il consiglio è di servire e degustare “Untouched by light” totalmente al buio, in modo da rendere ancora più intenso il senso dell’olfatto e del gusto.
Trovata di marketing?
Trovata di marketing? Forse, ma perché mai il buio dovrebbe avere un effetto sulle bollicine diverso da quello dei raggi solari? Secondo uno studio scientifico, che avrebbe convinto l’amministratore delegato Borut Cvetkovič a dar vita al progetto, l’esposizione delle uve alla luce (“lightstrike”), che genera la trasformazione di amminoacidi in composti odorosi come il dimetil disolfuro, può alterare gli spumanti, specie quelli in bottiglie trasparenti ed esposti a luce naturale o artificiale.
Da qui la scelta della cantina di usare uno speciale vetro che filtra il 99% della luce rispetto al 70% del classico vetro verde. Del resto, già nel 1989 Ann C. Noble pubblicò sul tema una controversa ricerca sull’American Journal of Enology and Viticulture (Sensory study of the effect of fluorescent light on a sparkling wine and its base wine), secondo la quale l’esposizione del vino alla luce genera i cosiddetti aromi illuminati.
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