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Carige e le altre. Quanto è costato finora il salvataggio delle banche?

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Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ieri sera a Porta a Porta (Imagoeconomica)

Il governo interviene su Carige con garanzie e potenzialmente soldi pubblici, come fatto dai governi precedenti. Ma al di là delle polemiche sulla continuità delle scelte degli esecutivi di diversi colori in un settore, quello del credito, spesso oggetto di scandali e opacità, è lecito chiedersi se gli interventi pubblici avrebbero potuto essere più tempestivi per ridurre l’entità dei salvataggi e se in tutte le occasioni sia stato utilizzato il processo più appropriato. Ad esempio nel caso di Carige si è deciso per un intervento pubblico, invece che per una risoluzione (come invece avvenuto nel 2015 per le banche del centro Italia), in nome di una sistematicità che per alcuni osservatori sarebbe tutta da dimostrare.

Ripercorriamo allora tappe e costi degli interventi nel settore bancario degli ultimi anni grazie a un’analisi svolta dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica.

Etruria e le banche del centro Italia

Le quattro banche del centro Italia (Banca dell’Etruria, Banca Marche e le Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti) sono state messe in risoluzione tramite decreto a novembre 2015. All’epoca lo Stato fece ricorso al burden sharing, azzerando il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate tutelando i conti correnti e le obbligazioni senior.

“Il contributo al ripianamento delle perdite, seguendo la filosofia della direttiva sul bail-in, è stato però completamente privato – spiega l’Osservatorio CPI – a coprirlo è stato il Fondo Nazionale di Risoluzione, istituito nel 2015, partecipato dalle banche operanti in Italia e destinato al risanamento delle banche in difficoltà. L’esborso del fondo è stato di 4,7 miliardi di euro. Non c’è stato quindi alcun contributo in termini di liquidità da parte dello Stato. L’unico intervento pubblico è stato molto più recente e modesto: nella legge di stabilità 2018 è stato introdotto un fondo finanziato dallo Stato di 100 milioni, per coprire i risparmiatori truffati che ancora non sono stati risarciti”.

Il Monte dei Paschi di Siena

Nel caso del salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, deciso nel dicembre del 2016, lo Stato ha finanziato parte dell’operazione, con 3,9 miliardi spesi per la ricapitalizzazione e 1,5 miliardi (massimi) riservati al ristoro degli investitori al dettaglio che detengono le passività subordinate della banca oggetto di conversione in azioni. Azionisti e obbligazionisti hanno da parte loro contribuito per altri 2,8 miliardi.

“Il Governo – spiega l’Osservatorio – ha acquisito attività, le azioni della banca, non ha dato un contributo a fondo perduto. Se la manovra avrà costituito un guadagno o una perdita dipenderà dall’andamento delle azioni nei prossimi tre anni: il Tesoro dovrà infatti uscire da Mps entro il 2021. Ad oggi, comunque, la partecipazione rappresenta una minusvalenza potenziale di quasi il 70 per cento (circa 3,8 miliardi). Al contrario, la spesa per il ristoro degli obbligazionisti convertiti in azionisti non verrà recuperata”.

Popolare Vicenza e Veneto Banca

Nel giugno 2017 Intesa Sanpaolo ha acquisito alla cifra simbolica di 1 euro Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca dopo la liquidazione coatta amministrativa. Intesa ha ereditato principalmente le attività sane. I crediti deteriorati sono stati invece trasferiti a una bad bank. “L’intervento per cassa dello Stato – sottolinea l’Osservatorio – è stato pari a circa 4,8 miliardi di euro, destinati a soddisfare il fabbisogno di capitale, nonché la ristrutturazione aziendale. A questi vanno aggiunti circa 400 milioni di garanzie, a fronte di un capitale garantito di 12,4 miliardi” (la spesa sarà bilanciata dal valore dei crediti recuperati dalla Sga, la società per la gestione delle di attività controllata totalmente dal Tesoro).

Fonte: Osservatorio Cpi

La spesa totale

Il conteggio totale effettuato dall’Osservatorio Cpi comprende così: circa 650 milioni investiti da Cassa Depositi e Prestiti e Poste Italiane in Fondo Atlante 1 e i 4,8 miliardi destinati a Banca Intesa come contributo di capitale e per la ristrutturazione del business. Soldi che non potranno mai essere recuperati. Ciò che invece è stato stanziato, ma potrebbe tornare allo Stato nel giro di alcuni anni, secondo le stime dell’Osservatorio si aggira tra i quasi 12,5 e i 18,5 miliardi di euro, circa un punto percentuale di Pil (la forchetta varia a seconda di come si valutano gli investimenti nell’ex Fondo Atlante 2 e le garanzie per il risanamento delle due banche venete). “Questi importi – si legge nell’analisi – vanno confrontati con il costo che le operazioni hanno avuto per l’intero sistema economico, tra capitali e risparmi azzerati, interventi del sistema bancario e intervento pubblico. Il costo totale si aggira tra i 60 e i 70 miliardi di euro, coperto quindi per meno di un terzo dallo Stato”.

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