Nuovi consumatori figli della recessione economica, certamente connessi e viaggiatori, ma fondamentalmente con il “braccino corto”, con un nuovo modo di usare i soldi e di fare acquisti. È il ritratto più stereotipato degli appartenenti alla Generation Y, i cosiddetti Millennial. Una generazione superficialmente vista come curiosa e distratta, poco affidabile ma entusiasta. In realtà questa fascia generazionale, ormai adulta, si trova davanti un mercato del lavoro completamente rivoluzionato rispetto al passato, ma anche con nuove esigenze.
Una ricerca condotta negli Stati Uniti da Survey Monkey per U.S. News rivela che il salario rimane sempre il primo fattore in ordine di importanza per la scelta del lavoro ma, rispetto al passato, non è più preponderante. Altre variabili, come un migliore bilanciamento vita-lavoro e un minore livello di stress, oggi si trovano nelle posizioni immediatamente a seguire, a discapito di criteri come le prospettive future di crescita e di carriera. C’è poi un’altra finalità rilevante per i Millennial, che negli ultimi decenni non era certo sinonimo di successo: il prendersi cura dei propri genitori. Un quarto degli intervistati afferma che un maggiore successo in termini economici li aiuterebbe a prendersi una pausa per curare i propri familiari, istanza che nelle generazioni passate, dove prevaleva l’individualismo, non veniva considerata. L’impatto sociale è sicuramente una delle chiavi interpretative per capire i Millennial.
Tutte queste motivazioni portano quindi la generazione a favorire lavori autonomi piuttosto che da dipendente: soprattutto quelli che sfruttano l’innovazione tecnologica per creare lavori e carriere inimmaginabili fino a dieci anni fa. Il team di JWT Intelligence, nel documento strategico elaborato a fine 2017 sulle 100 tendenze del nuovo anno, ha individuato tre professioni emergenti. I cosiddetti micro-influencer, ovvero persone che hanno un seguito ristretto sui social (tra i 10mila e i 100mila contatti) ma che sono in grado di attivare campagne di marketing più efficaci e convincenti di quelle che coinvolgono le grandi celebrità. Chi vive la rete e i social spesso mal sopporta le campagne che sanno di “fake”, specie quando lo stile di self-presentation suona falso e irrispettoso per la community a cui si rivolge. I micro-influencer sono invece più “genuini”, perché parlano e interagiscono con numeri limitati, sostenibili di persone, senza che tale dinamica ne limiti il reach potenziale.
Negli States i Brothers Buoy, una coppia di foodie di Brooklyn, hanno lavorato come microinfluencer con Condé Nast Traveler e una serie di marchi bio in rapida ascesa, nonostante il loro piccolo seguito di poco più di 10mila follower su Instagram. Liz Wible, che si descrive come “stilista freelance, fotografa e marketer digitale” con un modesto seguito di Instagram di poco meno di 13mila utenti ha collaborato con Whole Foods e Sweetgreen. Anche Adidas ha preferito affidare la propria campagna social a Michelle April Carigma, blogger specializzata in fitness con un seguito di soli 28 mila follower su Instagram.
Un altro nuovo mestiere che emergerà nel 2018 tra i millennial è il videomaker personale on-demand: sempre più spesso gli individui di maggiore rilevanza all’interno di una community tentano di trasformare la loro vita in una sorta di eterno reality show. Queste nuove figure hanno sempre bisogno di videomaker per girare e caricare i contenuti della loro quotidianità. E per i progetti più complessi ovviamente servono anche produttori, editor e strateghi digitali. La richiesta di tale professione è tale che anche una società di produzione del gruppo Getty Images come Dream It Reel sta investendo nella creazione di team di videomaker, creator ed editor a servizio di persone più o meno influenti che ne fanno richiesta.
Non è solo la crescente cultura dell’autopromozione a creare nuovi posti di lavoro ma, secondo JWT Intelligence, anche l’esasperazione dei servizi personalizzati. Dopo l’ascesa di personal trainer, personal shopper, coach e concierge personali, adesso è la volta di un nuovo servizio personalizzato di alta gamma che si sta diffondendo attraverso una solida e ingaggiante community presente su Instagram e sugli altri social network: la doula. Si tratta di una figura assistenziale – non medica e sanitaria – che si occupa del sostegno emotivo e del benessere della donna dalla gravidanza fino al primo anno di vita del bambino. Non è una figura nuova nella cultura occidentale, ma la novità sta nella forte community di riferimento che ha generato sui social. Si tratta di una figura professionale di aiuto, ascolto e assistenza, ma oggi anche di un responsabile della comunicazione ai follower dell’assistita. In rete stanno nascendo migliaia di queste figure: c’è chi ad esempio, come Little Bird Birth Services, unisce il servizio di doula a quello fotografico, con l’obiettivo di costruire uno storytelling social dell’esperienza materna.
Da queste tre nuove professioni emergenti rivelate dal report di JWT Intelligence si evince, da un punto di vista del marketing, come oggi i grandi numeri in rete non funzionino più per le campagne di comunicazione, e che il personal branding è arrivato a un livello di sofisticazione tale da rendere difficile distinguere tra persone, celebrità e prodotti.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .