Le stime si rincorrono. I ricercatori del MIT Daron Acemoglu e Pascual Restrepo hanno calcolato che ciascun nuovo robot entrato in ufficio, rende superflui fino a sei lavoratori. Gli analisti di Deloitte invece hanno scoperto che in soli 22 anni, nel pieno della diffusione delle tecnologie mobili, il numero di assistenti sanitari sarebbe cresciuto del 909%. Automazione insomma farà anche rima con disoccupazione. Ma la faccenda potrebbe essere ben più complessa. E considerando anche l’andamento demografico e la forbice della diseguaglianza, il mondo del lavoro nel 2030 potrebbe essere irrimediabilmente rivoluzionato dalla combinazione di questi altri fattori.
È un’analisi sociale impietosa, quella contenuta nel rapporto Labor 2030: The Collision of Demographics, Automation and Inequality. ForbesITALIA è in grado di pubblicare in anteprima per il nostro Paese i contenuti della ricerca condotta da Karen Harris, managing director di Bain & Company Macro Trend Group e Andrew Schwedel, partner dell’ufficio di New York. Gli analisti della società di consulenza sostengono che l’impatto di queste forze potrebbe innescare un vero e proprio smottamento sociale, che si protrarrà per diversi decenni. E l’automazione delle mansioni non sarebbe altro che una delle cause della più grande metamorfosi con cui la società mondiale avrà fatto i conti negli ultimi 60 anni.
Il primo fattore da prendere in considerazione sarà quello demografico. Nei primi anni venti del nostro secolo la capacità di spesa dei 60enni di oggi raggiungerà il suo picco, per poi cominciare inesorabilmente a calare. Del resto nello stesso periodo andrà in pensione la gran parte della generazione dei nati a cavallo degli anni cinquanta del secolo scorso. Ma secondo gli analisti Bain, il fenomeno non spalancherà le porte del mercato del lavoro alle giovani generazioni. Negli Stati Uniti ad esempio il numero degli occupati non crescerà più dello 0,4% l’anno.
La sostanziale stagnazione delle assunzioni negli Stati Uniti, inoltre, causerà un ammanco da 5mila e 400 miliardi di dollari in termini di ricchezza prodotta dai 35 membri dell’OCSE. I Paesi più sviluppati al mondo si troveranno a sperimentare la fine dell’era del “lavoro per tutti”, cominciata negli anni Settanta con l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e proseguita con l’entrata di miliardi di lavoratori indiani e cinesi. Mentre i governi dovranno sostenere sfide come l’esplosione dei costi per ripagare sanità, pensioni e debito pubblico, in un contesto in cui l’aspettativa di vita globale è passato in 30 anni da 73,5 a a 80,3 anni. «La nostra ricerca evidenzia come la saturazione della crescita della forza lavoro sia un fenomeno di natura globale. La crescita dell’occupazione si sta velocemente riducendo, dopo aver alimentato lo sviluppo dell’economia mondiale a partire dagli anni ’70», spiega a ForbesITALIA Duilio Matrullo, partner Bain dell’ufficio di Milano.
Il secondo fattore da prendere in considerazione sarà quello più dibattuto: l’automazione e l’invasione di robot e macchine in uffici e fabbriche. Da un lato, l’automazione porterà ad una crescita media globale del 30% della produttività rispetto ai valori del 2015. Dall’altro, però, l’invasione di robot e macchine ridurrà fino al 25% il numero di occupati a livello globale, pari a 40 milioni di nuovi disoccupati, contribuendo peraltro ad una contrazione del salario medio di chi continuerà a lavorare. «Entro il 2030 stimiamo investimenti in automazione per 8mila miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. E il fenomeno contribuirà a ridurre sensibilmente l’80% della forza lavoro meno qualificata nel prossimo decennio», spiega Duilio Matrullo.
La minaccia più concreta potrebbe riguardare proprio la classe media, dal momento che il 30% di coloro che dichiarano dai 30mila ai 60mila dollari l’anno sarebbe a rischio disoccupazione. In termini numerici, l’automazione avrebbe un impatto pressoché nullo sui lavoratori con redditi superiori ai 60mila dollari l’anno e in buona misura positivo per chi oggi dichiara dai 120mila dollari in su. Ma secondo gli analisti Bain a beneficiare in particolare dell’automazione potrebbe essere il 20% dei lavoratori altamente qualificati o specializzati, assieme ai possessori di rendite e investimenti. E alla contrazione del numero di occupati, corrisponderebbe una crescita delle retribuzioni destinate ai lavoratori “sopravvissuti”, scarsamente reperibili sul mercato e perciò altamente richiesti e remunerati.
La dinamica finirebbe poi per allargare la forbice retributiva tra “sommersi” e “salvati”, accentuando le diseguaglianze, il terzo e ultimo fattore decisivo per la metamorfosi sociale con cui potremmo fare i conti nel volgere di qualche anno. “L’automazione ha il potenziale per allargare la forbice delle diseguaglianze in misura significativa”, scrivono gli analisti Karen Harris e Andrew Schwedel. Del resto più la popolazione invecchia, più la ricchezza si accumula nelle mani di chi ha prodotto stabilmente reddito da lavoro, concentrandolo ad esempio nell’acquisto di una casa di proprietà. Una dinamica che non riguarda la fascia di popolazione più giovane, che solitamente vanta un’indice di ricchezza accumulata in ogni caso più basso anche in presenza di un’abitazione di proprietà. Ragiona Matrullo: «Per ridurre il rischio di disuguaglianze assisteremo allo sviluppo di nuovi modelli di relazioni tra governi e mercati, in aggiunta ad un controllo sempre più stretto delle attività delle multinazionali tecnologiche. Le istituzioni probabilmente torneranno a giocare un ruolo di primo piano nell’economia con un atteggiamento più interventista, in modo simile a quello che è accaduto dopo la seconda guerra mondiale». Sfide a cui non potrà venire meno lo stesso governo italiano in gestazione, dopo il voto di domenica scorsa.
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