Articolo tratto dal terzo numero di ForbesITALIA. Scopri l’ultimo numero.
Per entrare a FICO (Fabbrica Italiana COntadina) bisogna idealmente bucare un muro di mele Melinda. Una parete con le porte in mezzo che emana un odore forte e dolce. Invece niente mele, la filosofia di Oscar Farinetti si basa su una pesca. “Quando inizio un nuovo progetto, disegno sempre una pesca”, racconta Oscar. “La pesca è fatta di tre elementi: il nocciolo, la polpa e la pelle. Il progetto parte dal centro, dal nocciolo, che costituisce il mio target poetico: per esempio, la possibilità di offrire cibi di grande qualità per tutti. E poi c’è la pelle che per me è il trade marketing, cioè le azioni da fare per far conoscere il progetto; nella polpa ci sono le idee, le esperienze che vuoi far vivere ai tuoi clienti”. Una teoria che Farinetti va a spiegare in convegni e università di mezzo mondo.
Mele o pesche poco importa. Oggi è un uomo ricco e felice. Guida una delle più importanti imprese italiane conosciute nel mondo, vive a Novello, piccolo centro piemontese di mille abitanti nel Comune di Barolo, ha tre figli avuti dalla moglie Graziella Defilé, che lavorano con lui: Francesco 37 anni, Nicola 33 e Andrea, 27.
Nel suo FICO, il padiglione delle meraviglie di Bologna, una specie di Disneyland del food, danza come una libellula da uno stand all’altro. Oscar si tuffa tra formaggio e insaccati come Zio Paperone si tuffa nel denaro del suo deposito. E parla, racconta, cita, indica, saluta, stringe mani, prende complimenti a raffica, si concede volentieri a selfie e strette di mano. Si vede che è un entusiasta, che crede in quello che ha fatto, sa quello che vuole fare e vede quello che farà. Non riesce a fermarsi soprattutto quando spiega il target poetico di Fico: spiegare la terra ai bambini ma non solo la Terra intesa come globo terracqueo ma la terra, quella bassa, quella che l’uomo lavora da milioni di anni per tirare fuori i prodotti per mangiare. È soddisfatto quando entra nella stanza del fuoco, dove viene proiettato un video dedicato proprio ai bambini che spiega l’origine e l’importanza di questo plasma primordiale. Si stupisce ogni volta che la fiamma si accende come se anche lui la scoprisse solo allora. Si entusiasma quando passa in rassegna come un generale le sue truppe migliori, i branchetti di animali sistemati all’esterno del padiglione: mucche, capre, pecore, galline, oche. Tutto ancora per i bambini, per le famiglie che guarda contento sfilare davanti alle bestie. “Li guardo e sono contento: non voglio lo stipendio, non mi importa di guadagnare, mi basterebbe che da Fico uscissero 50 milioni all’anno per far vivere tutto questo senza contributi pubblici. Mi interessa solo far contenti i bambini, spiegare loro l’importanza della terra e dei prodotti di qualità”. E infatti si illumina quando parla della sua nipotina Celeste che gli ha fornito anche lo slogan del filmato sul fuoco: una voce fuori campo chiede cosa per te una cosa buona e una bambina risponde con la parole della nipotina Celeste: “una cosa è buona se quando la mangi sorridi”.
Come target poetico non è male poi però bisognerà sapere cosa ne pensa Andrea Guerra, presidente esecutivo di Eataly, la creatura di Farinetti, che deve gestire un gruppo che nel 2016 ha fatturato 470 milioni con quasi 6 mila dipendenti. E ora arriverà l’onda dei proventi di Fico-Eataly Word stimati in 90 milioni per i prossimi tre anni.
Già Eataly, tutto è cominciato da lì. Anzi no, tutto è cominciato dalle lavatrici. “Sono nato ad Alba il 24 settembre 1954, in piena vendemmia di un’ottima annata per il Barolo”, scherza Oscar, ma poi neanche tanto. “Anche perché mio padre Paolo era di Barbaresco e mia madre Bianca di Barolo. Cos’altro potevo fare nella vita se non quello che ho fatto? A proposito, mio padre che si chiamava di cognome Farinetti naturalmente cominciò con un pastificio”, chiude il racconto sull’araldica gastronomica.
“Mi mancavano sette esami per arrivare alla laurea, quando ho iniziato a lavorare con mio padre, che nel frattempo aveva aperto un supermercato che poi aveva trasformato in un ipermercato. Volle chiamarlo Unieuro perché, da vecchio comandante partigiano, aveva dei valori importanti, a cominciare dall’Europa”, racconta Oscar, “ma per i requisiti per l’ipermercato c’era bisogno di vendere anche gli elettrodomestici. Ma a mio padre non piacevano, lui era per i prodotti alimentari. Così li mise in un reparto piccolissimo, una specie di testimonianza. Io invece che avevo cominciato a lavorare proprio nel reparto elettrodomestici, compresi la loro grande potenzialità alla fine degli anni 70. È cominciato tutto da lì. Non tornai più all’università. Mio padre si è sempre rimproverato che io non abbia conseguito la laurea per colpa sua. Chissà come sarebbe contento oggi, che lui non c’è, se sapesse che ho due lauree honoris causa: una all’universita di Urbino in marketing e una all’American University of Rome e sto per ricevere la terza. Comunque”, continua a raccontare Farinetti, “iniziare quel lavoro tra figoriferi e lavatrici mi fece realizzare quanto il mondo stesse cambiando. Nell’89, a 34 anni, convinsi mio padre a vendere tutte le attività alimentari di famiglia a Supermercati Brianzoli e a tenerci gli elettrodomestici. Di colpo, a 34 anni, diventai ricco”.
Quale è la prima cosa che si fa quando si diventa ricchi di colpo? “Io presi mia moglie e feci un giro della Francia in tutti gli hotel stellati Michelin: volevo mangiare e bere bene. A poco più di dieci anni dalla vendita delle attività alimentari di famiglia, fatturavamo più di un miliardo di euro, 106 negozi in Italia, e avevamo mantenuto il nome Unieuro che per mio padre fu sempre importante. A seguire, dopo aver compreso che il mio ruolo di mercante era in crisi perché assumeva sempre più i caratteri del vendor (cioè del produttore), nel 2002 passai al ragionamento opposto. Tornai da mio padre e gli dissi: lasciamo gli elettrodomestici e torniamo al cibo ma ad un livello importante”. Il vecchio comandante partigiano si lasciò convincere per la seconda volta dal figlio visionario. Così Unieuro passò all’inglese Dixons e ai Farinetti e ai loro soci andarono più di 500 milioni di euro, investiti in gran parte in un’altra visione: Eataly. Va bene ma non è proprio una conseguenza logica passare dagli alimentari agli elettromestici e poi tornare ai prodotti alimentari.
“Si parte sempre dall’ analisi”, spiega Farinetti. “L’Italia è il paese con la maggiore bio-diversità, con la più grande tradizione alimentare al mondo e non era mai andato all’estero con una grande catena di distribuzione alimentare. Ho girato il mondo per vedere le abitudini e tradizioni alimentari degli altri paesi, ma ho anche imparato molto dai nostri mercati rionali. Ho fondato Eataly nel 2007. I miei obiettivi erano quattro: 1. Creare posti di lavoro, 2. Ridare vita a luoghi dimenticati, non costruire nuovamente; 3. Celebrare la bio-diversità italiana nel mondo; 4. Offrire al più grande numero possibile di persone nel mondo, cibo di qualità non lasciarlo solo agli appassionati e ai ricchi”.
Come la storia d’Italia per il piemontese Farinetti tutto parte da Torino, città che non ti aspetti. Ma a pensarci bene non ha tutti i torti: “Torino è la città creativa per eccellenza”, dice. “Lì sono nati l’automobile e il cinema, i primi sarti alla moda, persino la Rai ha avuto la prima sede a Torino. Ci sono nati persino il pelato San Marzano e la penna Bic”. E Eataly. “Sì, il 27 gennaio 2007. All’inizio ero preso dal panico, ogni volta che apro ho paura. Poi però il primo anno fatturammo 18 milioni di euro, il secondo 23 milioni poi a salire. Oggi nel negozio di Torino fatturiamo più di 40 milioni di euro. Nel 2009 tentai il Giappone, ma non fu un successo. Nel 2010 sono partito alla conquista dell’America. Aprii in centro a New York dove la Broadway incontra la Fifth Avenue. Firmai un contratto di affitto di 2,5 milioni di dollari per uno spazio di più di 4.000 mq. Alla firma mi tremava la mano. Oggi a New York fatturo più di 80 milioni di dollari e l’affitto non incide nulla. Al momento dell’apertura avevamo 3 Km di coda”.
Ora sotto con FICO, nato dall’apporto di 25 privati, molte associazioni come quelle dei medici, dei veterinari, dei piccoli imprenditori bolognesi, del movimento cooperativo. “Una roba speciale”, come dice Oscar, “che nasce per narrare il cibo partendo dall’inizio e non dalla fine. Queso è il target poetico di FICO, spiegare al mondo che il cibo nasce nella terra. Perché siamo esseri umani con una visione al di là del nostro progetto personale, dobbiamo avere anche un progetto comune. Non dobbiamo essere pigri, io voglio fare la mia parte. Il nostro paese ce la farà se otterremo due obiettivi: 1. raddoppiare il numero dei turisti stranieri in Italia, 2. Raddoppiare il valore delle esportazioni delle nostre eccellenze nel mondo, per la mia parte le eccellenze alimentari”.
Impossibile che uno come Farinetti possa fermarsi a FICO. E infatti, come direbbe Marzullo, cosa c’è dietro l’angolo? “C’è un nuovo grande target poetico che porterà avanti il business: salvare il mondo, durare. Se nel precedente modello di business della società dei consumi l’obiettivo era il godimento, oggi il cambiamento climatico ci impone un ripensamento degli stili di vita e la durata e la sostenibilità non saranno solo etica, ma una grande moda e modello di business. Il mio prossimo progetto sarà incentrato sulla vendita di prodotti e servizi legati al rispetto dell’acqua, della terra e dell’aria e promuovere gli acquisti di prodotti realizzati eticamente e in modo sostenibile”.
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