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Walter Siti racconta l’era perduta del consumismo gioioso e l’economia del gratis

Per chi iniziava a lavorare negli anni ’60, durante il boom economico, il rapporto con il denaro era molto diverso da quello di oggi. E se il mondo di allora era – non è esagerato dirlo – diverso da quello attuale, differiva sensibilmente anche la percezione collettiva della realtà sociale. Questo, provando a fare una sintesi estrema, ci dice Walter Siti nel suo ultimo saggio Pagare o non pagare (Nottetempo), scritto con uno stile narrativo e dove trovano spazio dati statistici, elementi di analisi economica e sociologica e passaggi diaristici. L’autore ricorda, quando al ventisette del mese incassava lo stipendio, il piacere di andare con il portafogli pieno di banconote a comprarsi qualcosa (si trattasse di una statua indiana della fertilità o di un gilet dai colori sgargianti).

E se in quell’età dell’oro del consumismo e dei desideri materiali, durata in Occidente più o meno fino agli anni ’80, l’ascensore sociale funzionava e si avvertiva la sensazione di una corsa generalizzata verso un benessere diffuso, già attorno alla metà degli anni ’90 le cose sono cambiate. Per qualche tempo si è assistito a un’espansione drogata da un capitalismo finanziario ben poco meritocratico; inoltre il meccanismo che portava gli Stati Uniti a investire in Europa il loro ingente surplus economico si è inceppato, e le logiche della globalizzazione hanno stravolto le regole della produzione, della domanda e dell’offerta e dei prezzi dei beni di consumo e del lavoro. Fino ad arrivare ai giorni nostri in cui, oltre a una precarietà abbastanza generalizzata del lavoro in luogo delle certezze di pochi decenni fa, siamo di fronte a un fenomeno insolito, in cui i prezzi delle merci diventano incerti e aleatori. Ad affermarsi è un’inedita economia del gratis.

“Pagare o non pagare”, di Walter Siti.

L’evoluzione tecnologica – come era già accaduto nelle fasi precedenti della rivoluzione industriale – ha stravolto il panorama dell’economia, facendo crollare i prezzi di alcuni beni e servizi, o rendendo del tutto incerta e relativa la loro determinazione. Da internet è possibile scaricare facilmente musica gratis o a prezzi bassissimi. I voli low cost, la possibilità di prenotare online –scavalcando le agenzie di viaggio – e di scambiare una stanza a Milano o a Roma con un letto a Copenhagen o a Londra, o di trovare un appartamento dove si desidera attraverso Airbnb, rendono il viaggiare molto meno costoso. Ma l’altra faccia di questa gratuità apparente è il tempo che così passiamo in rete: tempo che alle multinazionali del web serve per raccogliere – quasi senza che ce ne accorgiamo – informazioni sulle nostre abitudini e sulle nostre preferenze, per poi magari rivenderle ad altre multinazionali.

Dall’altra parte Siti evidenzia come, accanto all’evanescenza dei prezzi di molti beni, la crisi del lavoro non sembri vicina a una soluzione, e come non basti a fotografarla il singolo dato del 40% dei giovani italiani sotto i 24 anni che sono disoccupati. Oltre a loro, ci sono molti giovani che accettano lavori precari e sottopagati e numerosi inattivi che – forse in attesa di tempi migliori – un’occupazione non la cercano neppure.

Pur prendendo le mosse dall’esperienza soggettiva dell’autore, il saggio ha il pregio di proporre un’analisi del mondo in cui viviamo che risulta lucida, attenta e per diversi aspetti illuminante. Se c’è un limite, è quello di focalizzare la riflessione sulla critica, sulla pars destruens, senza sforzarsi troppo di vedere, se non in alcuni passaggi, gli elementi di trasformazione positiva che le più recenti trasformazioni mediatiche, tecnologiche ed economiche potrebbero favorire. E però si tratta di un limite che non fa venire meno l’importanza di quest’opera, e che lo stesso Walter Siti riconosce nelle righe di chiusura quando dice:

Ma i giovani non possono farne a meno, del futuro; il tramonto e il declino non sono risorse a loro disposizione; forse stanno già trovando vie d’uscita che io non sono in grado di scorgere.

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