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Articolo tratto dal numero di agosto di Forbes Italia
Raffaele Tovazzi è quel che si definirebbe un personaggio sui generis: imprenditore, filosofo e comunicatore, a nemmeno quarant’anni d’età è già un autore di libri bestseller per Mondadori, ha all’attivo consulenze per le maggiori realtà d’impresa italiane e l’anno scorso è stato invitato da Casa Sanremo per tenere una lezione sul futuro del lavoro e i social network. Si definisce filosofo esecutivo, e la sua missione è applicare al business gli insegnamenti delle discipline filosofiche: per farlo ha creato Filosofia esecutiva, una sorta di movimento – così lo definisce il suo fondatore – a metà tra filosofia e comunicazione, che propone di radunare pensatori radicali come lui. Esperto della discussa tecnica della programmazione neuro-linguistica (o Pnl), specializzatosi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è un fautore delle necessità di una figura aziendale molto di tendenza: il filosofo, in azienda, cerca di cambiare la prospettiva da cui guardare alle cose, e spesso riesce laddove manager e amministratori delegati falliscono. Per capire come, Forbes ha chiesto all’istrionico nativo di Rovereto, che oggi vive a Londra, di raccontare il suo mestiere.
Alcuni dei nomi più iconici della Silicon Valley, a iniziare da Google, da qualche tempo hanno iniziato a dotarsi di un chief philosophy officer (cpo): a cosa serve un filosofo all’interno di una multinazionale?
A che cosa serviva Aristotele ad Alessandro Magno? E Giordano Bruno ai potenti del Rinascimento? Molte delle tendenze d’oltreoceano sono la riproposizione in chiave moderna della nostra stessa storia. Le multinazionali sono imperi contemporanei, e chi sta al vertice di queste realtà fa quello che i regnanti hanno sempre fatto: circondarsi di gente come me per comprendere il presente e formare il futuro, facendo della filosofia uno strumento per l’innovazione.
Qual è stato il tuo primo approccio con la filosofia, e quando hai capito che sarebbe diventata la tua leva per il successo?
Alcuni bambini sognano di diventare calciatori, altri pompieri, altri ancora astronauti: io sognavo di fare il filosofo. Devo questa passione a mio padre che mi parlava spesso di filosofia, essendone appassionato. A otto anni gli dissi: “Da grande voglio fare il filosofo!”. Lui sorrise e mi precisò che non si vive con la filosofia. Invece con molta tenacia e altrettanta creatività – visto che, quando ho cominciato, la mia figura non aveva equivalenti sul mercato – ho fatto della mia passione il mio lavoro… Oggi attraverso coaching individuali e l’attività di speaker agli eventi ho la fortuna di affiancare grandi multinazionali e manager che considero tra le persone più brillanti del pianeta.
Una delle convinzioni che sembri avere più a cuore è quella di una certa pericolosità dei social network, tanto da precisare nel profilo che descrive chi sei, sul tuo sito, che “odi Facebook”. Mi hai ricordato Tristan Harris, l’ex designer di Google diventato celebre per le sue battaglie contro i colossi del tech che vogliono prendersi, a suo dire, la nostra attenzione e le nostre menti. Qual è la tua posizione in merito?
Stando a Platone, un tempo il compito del filosofo era far uscire gli schiavi dalla caverna delle illusioni. Oggi credo che il compito del filosofo sia far uscire gli utenti dai social network. Come possiamo portare nuove idee sul mercato se la nostra attenzione è predeterminata da ciò che il pensiero prevalente sceglie di mostrarci? Non a caso, una delle attività che mi vengono più richieste in azienda riguarda lo sviluppo del pensiero laterale, per leggere la realtà in maniera alternativa e… crearne una nuova.
Con una semplice ricerca su Google, ci si imbatte in diverso materiale che prende di mira la Pnl (un articolo di Wired la definisce addirittura “una bufala”). Cosa rispondi ai detrattori di questa disciplina? Si è rivelata utile nel concreto della tua esperienza?
La Pnl è un impoverimento all’americana di quella che chiamo Filosofia Esecutiva e non c’è un solo concetto di Pnl che appaia in qualche misura originale, se lo rapportiamo alla storia del pensiero occidentale, da Pitagora a Wittgenstein… Ma fintanto che la filosofia ci viene proposta come qualcosa di noioso e astratto, chi vende Pnl avrà sempre le aule piene e i loro corsisti il cervello vuoto. Io mi rivolgo ad un altro genere di individui.
Nella tua tesi di laurea hai sostenuto che l’Università italiana non può essere motore di sviluppo economico e sociale: perché?
Il fallimento è frutto di due estremi: chi pensa senza agire e chi agisce senza pensare. Il primo è la perfetta descrizione del mondo accademico, il secondo è il problema che prevengo nell’affiancare imprenditori, manager e professionisti. Non basta il pensiero, occorre metterlo in azione per produrre risultati concreti. Per questo l’Università italiana è un fallimento conclamato, mentre il mondo dell’impresa è il terreno su cui i miei clienti scriveranno i nuovi paradigmi dell’epica contemporanea.
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