Una nuova rivoluzione si aggira per il mondo degli investimenti. Dopo la salita alla ribalta del fintech ora è la volta del proptech, che del primo è parte integrante, ma finora certamente meno conosciuto.
Il termine è la fusione di property (proprietà immobiliare) e technology e fa riferimento a tutte le soluzioni digitali pensate per rendere più efficiente e produttivo il settore immobiliare. Le aziende operanti nel proptech si muovono lungo la direttrice comune dei nuovi modelli di consumo su diversi fronti: dall’affitto e acquisto online di proprietà con commissioni ridotte, alle piattaforme di analisi dei dati per il mercato immobiliare. Fino ad arrivare alla creazione di software per la gestione degli immobili e all’applicazione di nuove tecnologie, come la realtà virtuale, per permettere la visita a distanza di proprietà di cui si sta valutando l’acquisto o l’affitto.
Negli ultimi quattro anni oltre 800 startup immobiliari, principalmente in Gran Bretagna e Stati Uniti, hanno raccolto capitali per 6 miliardi di dollari, ma si dovrebbe trattare solo di una prima avvisaglia delle dimensioni del fenomeno. Almeno secondo Kpmg, che insieme a Real tech ventures ha pubblicato uno studio secondo il quale il proptech potrebbe attirare 20 miliardi di dollari entro il 2020 a livello globale. Nel 2017, in occasione della Kpmg global proptech survey, la società di consulenza ha chiesto a più di 300 decision maker del settore immobiliare di tutto il mondo quale impatto il proptech potrebbe avere sul settore. Il 92% si attende che il digitale influenzi questo business e l’86% ritiene che tale trasformazione possa rappresentare un’opportunità.
In questo contesto si stanno affacciando anche in Italia diverse realtà proptech, in alcuni casi facendo tesoro anche dell’esperienza maturata su altri mercati europei. È il caso di Housers. Nata in Spagna, si è posizionata come la prima piattaforma pan-europea dedicata a investimenti “crowd” sul mattone. Il suo motto è “rendere possibile la democratizzazione dell’investimento immobiliare”, perché tramite il digitale permette di investire anche piccole somme su diversi progetti immobiliari in partenza o già in fase di sviluppo su più mercati nazionali. Gli investitori possono così scegliere in autonomia in quale città europea diversificare. Con un risultato di tutto rispetto: in poco meno di due anni, il rendimento medio annuo dei progetti portati a termine oscilla tra il 7,5% e il 14,5%.
Ma sarebbe sbagliato focalizzarsi puramente sul lato degli investitori. Perché l’attività di piattaforme come quella di Housers svolge un ruolo rilevante anche per le aziende del real estate, che possono avere accesso ai capitali che il settore bancario, a partire dalla crisi del 2008, ha sempre più fatto fatica a concedere. In Europa Housers ha permesso il finanziamento di oltre 200 proprietà immobiliari, con oltre 58 milioni di euro investiti ed una platea che supera gli 86mila utenti, di cui il 10% riferiti al mercato italiano. E proprio in Italia sono stati già lanciati e interamente finanziati otto progetti, tra immobili residenziali, turistici e commerciali, a Milano e Firenze. Giovanni Buono, una lunga esperienza maturata tra le telecom e la consulenza tecnologica a cavallo di Italia (rivendica con orgoglio le origini partenopee) e Spagna (dove si è trasferito da lungo tempo), è oggi il ceo di Housers Italia. Parla di “una rivoluzione in un settore che fatica a innovarsi” e di “un progetto che ha molto più a che vedere con tecnologia e marketing rispetto all’ immobiliare”, come ha avuto modo di sperimentare proprio nella sua permanenza in terra spagnola e come già aveva visto accadere negli Stati Uniti.
Oggi ha grandi ambizioni per il nostro mercato: “Puntiamo a raggiungere i 35mila utenti nei primi 12 mesi”, dice, “e a dar loro la possibilità di investire fino a 12 milioni di euro in nuovi progetti.”
Housers infatti è sempre più focalizzata sull’economia italiana. “Abbiamo finanziato un progetto da 450mila euro in sette giorni, un tempo record. E abbiamo in cantiere un altro progetto da un milione di euro con Engel & Völkers in Piemonte. Naturalmente c’è una pipeline di iniziative in Italia e puntiamo a lanciare nuovi progetti con imprenditori italiani, così come a lavorare con Ance e associazioni di categoria, che ci aiuteranno a fare filtro e quindi ad avere una preselezione delle aziende”, spiega Buono.
Perché è indubbio che l’aspetto più delicato di tutto il processo riguarda la scelta delle singole iniziative, la cui bontà permette poi di consegnare ritorni interessanti agli investitori.
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“A sottoporci i progetti”, spiega Buono, “sono tendenzialmente piccole aziende edili, perché i grandi hanno accesso alla finanza. È interessante ad esempio quanto avviene in Spagna, dove l’80% dei prestiti è usato per comprare il terreno, mentre la banca subentra con tasso agevolato una volta che sei nella disponibilità di questo. Attraverso le piattaforme online le piccole e medie aziende possono godere di un processo di due diligence molto più veloce, che passa attraverso la valutazione da parte di un ufficio tecnico locale e successivamente un esame sulla sostenibilità a livello finanziario. In più l’azienda ottiene visibilità su una piattaforma mondiale”.
Tipicamente si tratta di prestiti garantiti a 12-18 mesi (ma vi sono anche formule con piani più lunghi), che prevedono un pagamento mensile degli interessi a un tasso attribuito sulla base dello scoring del progetto e della società. A fine periodo avviene naturalmente la restituzione del capitale.
Agli investitori oggi Housers permette quindi di investire in prestiti su progetti immobiliari con rendimenti basati sugli affitti e sulla vendita dell’immobile. Lo scenario futuro è quello che è allo studio in Spagna, dove i clienti di una banca, oltre alle azioni, ai fondi e alle obbligazioni, potranno investire nel comparto Housers, ossia avere accesso a una vetrina di progetti immobiliari. Il proptech permetterà così ai clienti bancari di accedere a un’asset class tra le più tradizionali, ma secondo modalità del tutto innovative.
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