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Cosa c’è nel primo provvedimento italiano in materia di ICO

Con oltre 15 miliardi di dollari raccolti nel mondo, le Initial Coin Offerings (ICO) si sono affermate come una forma innovativa di finanziamento, utilizzata da società (spesso start-up) che intendono realizzare un determinato progetto, caratterizzata dall’uso della tecnologia blockchain.

A fronte di un versamento, usualmente in criptovaluta, vengono emessi dei c.d. token, cioè rappresentazioni digitali di valore che possono svolgere varie funzioni:

– i security token sono rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale (ad esempio, il diritto di partecipare alla distribuzione degli utili) e/o di diritti amministrativi (ad esempio diritti di voto);

– gli utility token sono rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo);

– i payment token sono utilizzati come strumento di pagamento per acquistare beni o servizi all’interno di un’applicazione.

Oltre alla funzione tipica, alcuni token possono essere scambiati sul mercato secondario tramite la piattaforma dell’emittente o su altre piattaforme di scambio, a fronte di corrispettivi anche in valuta virtuale.

Come tutte le novità, le ICO determinano numerose problematiche di regolamentazione complicate anche dalla loro dimensione internazionale.

In particolare, per cercare di sfuggire dalle stringenti regole del diritto finanziario, spesso si cerca di configurare arbitrariamente ed erroneamente le ICO come offerte di utility token, senza tuttavia la consapevolezza delle conseguenze fiscali dell’iniziativa e senza conoscere gli adempimenti necessari.

In Italia sono arrivate le prime interessanti risposte a fare chiarezza sul regime dell’IVA e delle imposte dirette; sorprendentemente, esse hanno definito un quadro che da questo punto di vista è più vantaggioso di accreditate piazze europee, notoriamente molto crypto-friendly.

Una società italiana, Innovitas Vitae, intenzionata a porre in essere una ICO per emettere utility token, rappresentativi del diritto a fruire dei suoi servizi per la diagnosi della infertilità inspiegata, ha proposto un interpello ed ottenuto dall’Agenzia delle Entrate una chiarissima posizione sui diversi profili fiscali dell’operazione. 

Il trattamento dell’Iva

Gli utility token presentano caratteristiche molto simili ai voucher, che conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati beni e/o servizi. Ai fini IVA si applica proprio la stessa disciplina dei voucher: l’IVA non è dovuta al momento dell’acquisto del token, ma al successivo (ed eventuale) momento del suo utilizzo, ossia all’atto dell’acquisto del bene/servizio che il token incorpora (i.e. consumo finale).

La risoluzione del 22 febbraio 2011, n. 21/E già precisava che l’emissione e la circolazione dei voucher non assumono rilevanza IVA, non configurandosi quale anticipazione della cessione/prestazione cui i “buoni” stessi danno diritto.

L’acquisto del token, dunque, è una mera movimentazione finanziaria, non rilevante agli effetti dell’IVA, che si renderà esigibile solo al momento in cui i beni saranno ceduti o i servizi prestati con la spendita dei token.

Il trattamento dell’Ires

Lo stesso principio governa anche la tassabilità del reddito: la mera vendita dei token non ha autonoma rilevanza fiscale ai fini IRES. Il reddito prodotto dalla vendita dei token diventerà imponibile ai fini IRES solo al momento in cui verrà effettuata la cessione dei beni o la prestazione dei servizi, o in cui verrà effettuata l’imputazione al conto economico.

Depositi e cambi

La società che abbia raccolto criptovaluta tramite l’ICO dovrà tuttavia utilizzarla per sviluppare il progetto imprenditoriale e, quasi sempre, cambiarla in valuta corrente.

In proposito, l’Agenzia delle Entrate ha riconfermato l’orientamento già emerso in precedenti decisioni, anche a livello comunitario, escludendo che tali operazioni siano imponibili IVA.

A fine esercizio la valuta virtuale di proprietà della Società istante dovrà essere valutata in base al cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio. La giacenza è rilevante ai fini fiscali e dovrà essere valutata con riferimento al criterio del valore normale, cioè quello corrispondente alla quotazione della criptovaluta al termine dell’esercizio. In proposito, si potrebbe fare riferimento alla media delle quotazioni ufficiali proposte sugli exchange in cui avvengono le compravendite di criptovalute.

Almeno dal punto di vista fiscale, dunque, l’Italia si presenta sulla scena internazionale come buon punto di partenza per lanciare una ICO avente ad oggetto utility token. Rimangono aperte le questioni regolatorie, che tuttavia per le utility presentano soluzioni possibili ed accessibili.

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