Hanno mediamente fra 40 e 49 anni, sono in maggioranza uomini sposati o fidanzati e per la propria carriera scelgono destinazioni nuove, dall’India alle Filippine. È il nuovo identikit dei manager internazionali italiani, sempre più attenti alle prospettive di crescita professionale ma anche ai benefit per se stessi e per la propria famiglia. Ecco perché negli ultimi anni le loro esigenze sono profondamente cambiate.
Rispetto al passato sono diverse le mete dei sogni. Ma sono differenti anche gli stipendi mediamente percepiti e i benefit ai quali danno importanza. A rivelarlo è una nuova ricerca, condotta dalla società di executive search Chaberton Partners. Dallo studio emerge innanzitutto che la nuova generazione dei manager formati nel nostro Paese non guarda più solo a Londra e New York come destinazioni per crescere professionalmente e raggiungere i massimi obiettivi. Oggi i dirigenti sono sempre più inclini a trasferirsi in luoghi remoti, ma comunque in grado di garantire loro ottime possibilità di carriera.
La ricerca rivela che fra le mete più ambite ci sono India, Filippine, Giappone, Kazakistan, Iran e Azerbaijan. Per motivi differenti. In Iran, per esempio, è in atto una rinascita economica che si traduce in una ricerca costante di architetti e ingegneri specializzati in grandi opere, dalle strade ai nuovi nodi ferroviari. Negli altri Paesi asiatici sono invece richiestissimi gli operation manager, in prima linea per la progettazione, programmazione, gestione e controllo di tutti i processi produttivi che portano alla creazione di beni e servizi.
Inoltre, negli stessi Stati, sono enormi le possibilità di carriera per i manager specializzati nello sviluppo di progetti commerciali destinati alla produzione di beni e servizi per il consumo interno. “Spesso si tratta di location poco attraenti, magari anche politicamente instabili, dove i manager devono essere disponibili ad affrontare progetti senza limiti temporali, abbandonando quindi la logica del breve termine – spiega Christian Vasino, ceo e fondatore di Chaberton Partners -.
Dalla ricerca di mete meno “scontate” derivano anche differenze negli stipendi percepiti dai dirigenti rispetto al passato. A cambiare non è tanto la somma percepita – mediamente un manager internazionale guadagna fra i 145mila e i 160mila euro lordi annui, con una quota fissa e il 25% di quota variabile – quanto piuttosto la composizione del paniere salariale. Che, oggi più che mai, deve prevedere benefit a disposizione non solo dei manager ma anche e soprattutto delle loro famiglie.
Ed è proprio in questa materia che il cambiamento è più radicale. I manager italiani sono più attenti ai propri cari rispetto al passato. Per loro la destinazione ideale è quella che assicura non solo salti di carriera ma anche buona qualità di vita per i diversi componenti del nucleo familiare. Non è un caso che, secondo la Brookfield Global Mobility Trends Survey del 2016, la prima ragione di rifiuto di un professionista che viene contattato per un lavoro all’estero sia proprio la questione familiare (33%). Ecco perché le aziende internazionali sono chiamate a rendersi attrattive anche attraverso un adeguato pacchetto di benefit. “Oltre che proporre un piano di carriera stimolante, le imprese devono definire una struttura salariale che, oltre a comprendere una parte di compenso lordo con variabili attraenti, contenga anche e soprattutto un paniere di benefit flessibili che vadano a coprire le necessità e le attese dei familiari: una casa più che dignitosa, scuola internazionale per i figli, iscrizione a un club esclusivo per la moglie, voli di rientro in business class per le festività importanti – prosegue l’esperto -. Il peso economico dei benefit può arrivare al 40-50% dell’intero pacchetto salariale. L’azienda in grado di coniugare attrattività del progetto, al di là della location, con quella dei benefit sicuramente gode di un forte vantaggio competitivo sul mercato degli executive”.
Ma chi sono questi manager internazionali? Secondo la ricerca sono nel 38% dei casi persone fra 40 e 49 anni, seguiti dalla fascia di età 30-39 anni (31%). Sono per il 49% uomini sposati o fidanzati e per il 22% uomini single. Ma c’è anche un 19% di donne sposate o fidanzate e un altro 22% di donne single. “È curioso analizzare come secondo lo studio le donne manager che partono per l’estero siano nella maggior parte dei casi single, gli uomini invece sposati. Questo fa pensare che, per una concezione maschilista purtroppo ancora diffusa, le signore siano più disponibili dei colleghi maschi a rinunciare alla propria vita e carriera per seguire mariti e fidanzati”, conclude Vasino.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .