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Come nasce un distretto dell’eccellenza italiana

Leonardo Di Caprio, in una scena del film “The Revenant”

Articolo apparso sul numero di novembre 2018 di Forbes Italia. 

Altro che la 44 Magnum dell’ispettore Callaghan. L’arma che ha meritato l’Oscar è uscita dalle officine della Davide Pedersoli di Gardone Val Trompia, l’atelier che ha armato la mano di Leonardo Di Caprio in The Revenant con una bellissima Frontier De Luxe dal caratteristico calcio in legno d’acero tigrato e la tabacchiera dotata di uno sportello in ottone, in tutto simile all’arma di Hugh Glass, il cacciatore che nel 1823, durante una spedizione commerciale nei territori dove nasce il Missouri, fu abbandonato in fin di vita dai suoi compagni. Quando il regista Alejandro Inarritu ha voluto portare sullo schermo la storia non ha potuto far altro che bussare a Gardone, da cui sono partiti alla volta di Hollywood 15 repliche fedeli dei fucili Usa, come capita spesso dal 1959, da quando Val Fogett, presidente della Navy Arms Company, venne in Italia alla ricerca di fabbriche che potessero creare delle armi per commemorare il 100° anniversario della Guerra Civile Americana. Un business singolare ma fortunato: ancora oggi dall’azienda (42 dipendenti) diretta da Pierangelo Pedersoli e dal figlio Stefano, partono le armi dirette verso i mercati internazionali che assorbono più del 90 per cento della produzione.

Pierangelo Pedersoli che insieme al figlio Stefano è alla guida dell’azienda di famiglia Davide Pedersoli.

Ma la trama del film della Val Trompia è assai più antico della leggenda del vecchio West. Anzi, c’è chi è convinto che l’uso della polvere da sparo quale propellente per le bocche da fuoco sia stata una scoperta fatta a Gardone. Ma, senza volersi imbarcare in una disputa dall’esito dubbio, quel che è certo è che più o meno 500 anni fa, anno 1526, la repubblica veneziana ordinò 185 archibugi a Mastro Bartolomeo Beretta del territorio bresciano di Gardone. L’artigiano, riferiscono le cronache del tempo, godeva di un eccezionale prestigio e di conseguenza di una certa posizione sociale, capace di dare così vita a una categoria professionale ben istruita: l’alfabetismo tra i fucinatori di canne era quasi universale e Gardone si poteva persino permettere di vantare la presenza di una rarità nelle province dell’Italia medievale, il maestro. Nel corso del secolo XV, la scienza della fabbricazione di canne era infatti molto più di una forma di artigianato: trasformò l’intera città in quella che a tutti gli effetti era una grande fabbrica, severamente strutturata secondo i dettami di una rigida corporazione.

Molte cose, ovviamente, sono cambiate da allora. Ma nel dna di Gardone, la capitale incontrastata di uno dei primati più solidi della manifattura italiana, restano evidenti le radici di una leadership che appartiene ormai alla leggenda, non solo alla storia. Nessun distretto industriale può vantare la storia dell’armeria italiana, eccellenza del made in Italy nell’economia globale, o tantomeno i numeri di Gardone Val Trompia. Poco più di 10mila abitanti a 20 chilometri da Brescia, ma la quasi totalità della produzione di armi leggere in Italia. In una valle abitata da 60mila persone inclusi i comuni limitrofi, il settore delle armi conta più di cinquemila dipendenti e comprende 110 aziende produttrici e altrettante specializzate in munizioni e componenti, che l’anno scorso hanno spedito ben 395mila armi di piccola taglia negli Stati Uniti.

La doppietta Beretta 486 by Marc Newson.

Su tutto domina la fabbrica della Beretta, la sede storica della dinastia industriale più antica al mondo, oggi una holding con ventisei filiali in tutto il pianeta che rifornisce le forze armate italiane, la gendarmerie francese e l’esercito statunitense, dal 1986 dotato di pistole di ordinanza bresciane dopo la gara vinta da Ugo Gussalli Beretta. Un gigante con più di tremila dipendenti e un fatturato che sfiora i 700 miliardi (668,6 a fine 2017) realizzati per il 93% sui mercati esteri, con una netta prevalenza delle attività civile e sportiva (la difesa e l’ordine pubblico contano solo il 15%) con un margine operativo lordo di 84,4 milioni di euro (il 13% del fatturato consolidato) rispetto ai 117 milioni del 2016. Una realtà solida che, forte di una posizione finanziaria positiva per 150 milioni, non ha certo bisogno di ricorrere alla Borsa, tantomeno ora che l’America, dopo le difficoltà nell’avvio della nuova fabbrica in Tennessee, ha ripreso a correre.

“Non c’è una preclusione di principio”, spiega Pietro, il figlio maggiore di Ugo, “se si dovesse presentare un’occasione oltre le nostre possibilità, la famiglia prenderebbe in considerazione la quotazione. È evidente che lo sbarco in borsa non potrebbe che avvenire a Wall Street, dove il marchio Beretta avrebbe un impatto maggiore”.

Ma le armi made in Italy non si esauriscono con i primati di Beretta. La realtà del settore è fatta soprattutto di aziende di medie dimensioni e una miriade di artigiani armaioli, attivi per lo più in Lombardia, dove la fabbricazione di armi di alta qualità è una delle attività più redditizie nel triangolo che corre tra Brescia, Milano e Lecco, dove ha sede la Giulio Fiocchi Munizioni, da gennaio controllata del fondo Charme, ma avviata verso Piazza Affari sotto la guida della vecchia proprietà familiare. Un settore che, numeri alla mano, gode di buona salute come emerge dall’indagine 2017 dell’Università di Urbino, che ha aggiornato i dati di un precedente studio del 2010, in piena recessione.

Stefano Fiocchi, presidente dell’Anpam, Associazione nazionale produttori di armi e munizioni.

“Il giro d’affari di armi e munizioni per uso civile, sportivo e venatorio”, si legge, “vale 7,3 miliardi di euro corrispondenti allo 0,44% del Pil nazionale, con 87.549 occupati (+19% rispetto al 2010) distribuiti in 2.334 aziende, mentre l’export incide per il 90,3% (+6,3% rispetto al 2010)”. “È un’industria sana che cresce di valore, di occupazione e di produttività e il mercato estero ce lo riconosce, continuando a considerarci un punto di riferimento”, commenta Stefano Fiocchi, presidente dell’Anpam, l’Associazione nazionale produttori di armi e munizioni sportive. “Gli unici dati con il segno meno riguardano il mercato italiano dell’indotto legato alle attività venatorie e sportive. Basterebbe allineare il sistema italiano a quello degli altri paesi europei per ridare ulteriore linfa al comparto”.

In omaggio ad un’eccellenza che promette di arricchire di medaglie lo sport italiano. “Nelle ultime quattro edizioni dei giochi Olimpici”, continua Fiocchi, “su 63 medaglie assegnate nelle diverse specialità del tiro a volo, ben 61 sono state vinte con fucili e munizioni italiane”. Una leadership indiscussa a livello mondiale fatta di tante storie di eccellenza nostrana, in tutti i rami del settore. Gli ingredienti di un successo planetario, a cavallo tra sicurezza, sport e tanta passione.

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