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La Regina italiana della carta da esportazione

Un’immagine dello stabilimento produttivo di Sofidel a Circleville, in Ohio (Usa).

Articolo tratto dal numero di dicembre 2018 di Forbes Italia

All’ingresso dello stabilimento ti accoglie una fila di colonnine per la ricarica delle auto elettriche: per i dipendenti il pieno di energia è gratis per un anno. Anche così si combattono le emissioni di Co2 in quel di Porcari, provincia di Lucca, il quartier generale di Sofidel, gruppo che conta oltre seimila dipendenti distribuiti in 32 stabilimenti di 13 paesi. Un giro d’affari da 1,7 miliardi di euro a fine 2017, grazie ad una produzione di 1.098.000 tonnellate di tissue, cioè la carta per uso igienico e sanitario, che colloca la multinazionale (mica tanto) tascabile al secondo posto in Europa, al sesto nel mondo.

Una vera Regina del settore, per citare il suo brand più noto in Italia, quello dei rotoloni, che ha fatto della sostenibilità una leva strategica per crescere nel mondo, all’insegna del concetto less is more, ovvero fare di più con meno. “Con ‘less is more’ intendiamo esprimere la nostra attenzione alla riduzione dei consumi e degli sprechi”, ha detto Luigi Lazzareschi, ad del gruppo, figlio di Giuseppe: fu lui, nel 1966, a dare il via all’impresa assieme a Emi Stefani, l’attuale presidente di un’impresa che resta orgogliosamente familiare, forte di una cultura che privilegia il reinvestimento degli utili in ricerca e nella crescita dell’azienda. “Noi ci vogliamo impegnare al massimo”, continua, “per dare di più ai nostri stakeholders in termini di prodotti, valori e servizi, con meno consumi energetici e idrici, materie prime, gas climalteranti, sprechi, impatti negativi di qualunque genere e minor prezzo”. Insomma, come recita il decalogo Sofidel, “essere sostenibili conviene”. E i risultati lo confermano.

Il gruppo Sofidel, la prima azienda manifatturiera italiana ad aver aderito al progetto Wwf Climate Savers ha ridotto le emissioni dirette di Co2 in atmosfera del 20,6% per tonnellata di carta prodotta rispetto al 2009, impegnandosi a raggiungere il 23% nel 2020. Un risultato reso possibile dagli investimenti in efficienza energetica, dagli impianti di cogenerazione e dall’utilizzo di energie rinnovabili. Il risparmio equivale all’abbattimento delle emissioni di 10mila tir che percorrono 10mila km all’anno per dieci anni. Intanto il consumo di acqua in media è sceso a 7,1 litri/chilogrammo (ma in alcuni stabilimenti si è raggiunto il record di 3,9 l/kg) contro una media di settore di 15-25 l/kg.

Luigi Lazzareschi, ceo di Sofidel Group

Il tutto, naturalmente nel rispetto dei risultati economici, tutt’altro che scontati per un settore a bassa marginalità. Ma Sofidel continua a produrre un discreto ebitda (indicatore di profittabilità), con numeri al di sopra della media di mercato, nonostante una congiuntura difficile. A complicare i conti contribuisce il boom dei prezzi provocato dal forte aumento della domanda asiatica e dalla chiusura di alcuni impianti europei che hanno sensibilmente ridotto l’offerta di cellulosa. Il doppio fenomeno ha spinto i prezzi ai massimi di sempre. Ma il contesto difficile non inciderà sui punti di forza del gruppo, che Luigi Lazzareschi riassume così: “L’appartenenza ad un distretto cartario forte, la qualità dei nostri impianti e l’internazionalizzazione”. In cima alla lista, insomma, c’è il know how e la capacità d’innovazione di Lucca, una terra dove la carta si fabbricava da secoli, ove si sono concentrati nel secondo dopoguerra vari fattori propizi alla crescita: una situazione ambientale favorevole per l’abbondanza d’acqua e la presenza di una cultura secolare nella carta, i bisogni di igiene di una società che si avviava a diventare benestante (solo a fine anni ’60 la carta igienica entra nei consumi di massa), il coraggio e la determinazione dei fondatori, una politica lungimirante, che consentì il decollo dell’area con un’esenzione fiscale degli utili per dieci anni. Non ultimo, la fortuna di aver potuto contare su un genio: Fabio Perini, oggi famoso per le sue barche, in origine solo il frutto di un fortunato hobby, ma a cui si devono alcune innovazioni, spesso sperimentate con gli amici Stefani e Lazzareschi, che consentirono di raggiungere e talvolta superare le multinazionali che nel frattempo approdavano nel distretto.

È allora che la grande distribuzione comincia a rivolgersi al distretto per la produzione dei private label, che oggi rappresentano in Europa oltre il 60% della produzione totale, una fetta di mercato in crescita: prima si competeva con il brand di marca, ora la concorrenza, nel vecchio continente, è con gli altri private. Una sfida che Sofidel affronta con una rete capillare di stabilimenti, distanti non più di 400 chilometri l’uno dall’altro (con grossi vantaggi logistici, per sfruttare i vantaggi della vicinanza ai clienti della grande distribuzione), che coprono tutta l’Europa. L’ultimo balzo in avanti è lo sbarco oltreoceano, anno 2012, con l’acquisto del gruppo Cellynne, tre stabilimenti di piccole dimensioni ma con tecnologie al passo con i tempi, primo passo dell’espansione, proseguita l’anno scorso con il montaggio dei macchinari di converting e di cartiera a Circleville, in Ohio, in quello che è destinato a divenire il più grande e moderno stabilimento del gruppo. Un gradito ritorno per Luigi Lazzareschi che, dopo gli studi americani, non fa mistero che “andare negli Stati Uniti è la realizzazione di un sogno”.

L’investimento americano ha consentito, in termini di crescita, di superare complessivamente il milione di tonnellate in termini di capacità produttiva in 13 Paesi: Italia, Spagna, Svezia, Regno Unito, Belgio, Francia, Croazia, Germania, Polonia, Romania, Grecia, Turchia e Stati Uniti. Ma soprattutto, apre le porte a prossimi sviluppi. Negli Usa, infatti, il mercato del tissue cresce ad una velocità assai più elevata dell’Europa (il 2,5% annuo contro l’1,6% in termini di volumi). Per di più il private label ha un peso inferiore rispetto all’Europa, il 25% soltanto, destinato a crescere. E Sofidel, assicura Lazzareschi, “seguirà da vicino gli sviluppi di questa realtà”, senza però dimenticare l’ultima frontiera della sostenibilità: l’economia circolare, ovvero l’idea che i sistemi economici debbono funzionare come la natura, nella quale tutto ciò che viene utilizzato rientra costantemente in circolo. Mica facile spiegare il valore naturale delle cose nell’America di Trump che contesta l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Sofidel comunque ci prova.

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