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Cultura

Art Bonus: la “chiamata alle Arti” per un nuovo mecenatismo italiano

Gallerie degli Uffizi (shutterstock)

di Pasquale Sasso

Cucinelli e il Teatro Morlacchi di Perugia, Salvatore Ferragamo e la Galleria degli Uffizi, Bulgari e le Terme di Caracalla, Unicredit e l’Arena di Verona, sono questi alcuni nomi dei nuovi mecenati italiani. Infatti, quelli appena citati sono solo alcuni (non ancora abbastanza) dei brand che hanno deciso di sfruttare l’Art Bonus, il credito di imposta introdotto dall’art. 1 del Decreto Legge 83/2014 (Decreto Cultura).

Con questo strumento, il legislatore ha provato a stimolare le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo, prevedendo un ampio sgravio fiscale a favore del mecenatismo. In particolare, l’Art Bonus rappresenta un credito di imposta a favore di chi effettua erogazioni liberali in denaro a sostegno del patrimonio culturale pubblico, pari al 65% degli importi donati, entro il limite del 15% del reddito imponibile per persone fisiche e per gli enti non commerciali ed entro il limite del 5 per mille dei ricavi annui per i titolari di reddito di impresa.

La misura tende a favorire gli interventi di manutenzione e restauro di monumenti e teatri di proprietà pubblica. Sul sito web istituzionale è possibile consultare un database, grazie al quale si possono distinguere gli interventi da finanziare a seconda della tipologia (beni culturali pubblici, fondazioni lirico-sinfoniche ed enti dello spettacolo), del beneficiario (Mibac, Regione, Provincia, Comune), dell’area territoriale e dello stato di avanzamento della raccolta (in corso o conclusa).

Il primo bilancio triennale di questo strumento ha mostrato delle performance molto interessanti: oltre 1.000 potenziali beneficiari hanno fatto ricorso allo strumento, oltre 1.300 gli interventi bisognosi di erogazioni distribuiti (in maniera non omogenea) tra nord e sud del Paese (il dato è molto superiore nel settentrione) e sono stati raccolti oltre 200 milioni di euro, grazie al contributo d 6mila mecenati, in gran parte fondazioni bancarie e imprese.

L’Art Bonus, che secondo molti addetti al settore sta perdendo negli anni la sua capacità di attrazione, non è stato accolto nello stesso modo in tutto il Paese; infatti, la geografia delle donazioni è molto sbilanciata a favore delle regioni del nord (con Lombardia e Veneto con oltre 100 milioni di euro raccolti) a discapito di quelle meridionali (sono stati 600 gli euro raccolti in Molise e zero in Basilicata).

A fronte dell’autonomia organizzativa e finanziaria riconosciuta in quegli anni ad alcuni “super musei”, questo strumento poteva e può rappresentare un modo nuovo di fare fundraising anche per quelle “imprese culturali” caratterizzate da una capacità più ridotta di generare entrate dalla loro gestione caratteristica, come i teatri e le fondazioni lirico – sinfoniche.

Di questo tema, in particolare, ho discusso con Giampiero Beltotto, presidente del Teatro Stabile del Veneto, una delle più importanti e prestigiose realtà all’interno del panorama culturale italiano.

Come giudica l’efficacia dell’Art Bonus come strumento di fundraising per le imprese culturali che sono fuori dalle grandi traiettorie turistiche nazionali?

In un momento storico come quello che stiamo attraversando in cui i finanziamenti pubblici non sono più sufficienti a garantire la piena attività delle imprese culturali, sono le comunità che le vivono a dover imparare a tenerne la guida. La cultura, infatti, non può più dipendere esclusivamente da disponibilità economiche e finanziarie che provengono dai bilanci pubblici. Per questo noi stiamo lavorando affinché le risorse utili alla gestione dei nostri teatri siano sempre di più frutto di uno sforzo congiunto del pubblico e della società. In questo senso l’Art bonus rappresenta sicuramente uno strumento efficace.

Come si spiega il divario circa le erogazioni ricevute tra il nord e sud del Paese?

Il divario circa le erogazioni dipende chiaramente da un tessuto industriale differente tra Nord e Sud. Non solo al Nord c’è una maggiore concentrazione di imprese, ma anche di imprese culturali capaci di attrarre finanziamenti. Basti pensare alle fondazioni lirico sinfoniche come la Scala, l’Arena o la Fenice o alla presenza di grandi teatri nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali.

Si parla molto di Responsabilità sociale di impresa; secondo lei, le imprese italiane sono pronte ad assumere un comportamento “socialmente responsabile”?

In questo primo anno di mandato come presidente dello Stabile del Veneto ho riscontrato un forte interesse da parte delle imprese a contribuire all’attività dei nostri teatri. È necessario, tuttavia, che le imprese culturali per prime escano dalla logica dei finanziamenti pubblici e da un’idea elitaria della cultura e assumano un atteggiamento di apertura nei confronti delle realtà imprenditoriali. Come dire: il teatro deve essere sempre di più delle comunità che decidono di viverlo fino in fondo.

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