Tra dazi e tassi non è certo un’estate povera di notizie. Specie per il Regno Unito, investito dalla prospettiva della hard Brexit. Ma questo non ha impedito ai giornali economici più autorevoli, ovvero “The Economist” e “Financial Times” di dedicare due lunghi reportage ad un tema leggero: la pet economy, ovvero la filiera di prodotti e servizi dedicati agli animali domestici. Un classico tema estivo, certo, ma non solo. Non mancano i segnali, infatti, che l’economia a quattro zampe continua a viaggiare a gonfie vele nonostante l’aria di crisi.
L’ultima conferma arriva dai conti semestrali di Nestlè: a trainare i profitti sono i risultati semestrali di Purina, la società che raccoglie le attività nel settore animali del colosso alimentare, particolarmente brillanti in Usa ed in Brasile dove, accanto alla tradizionale attività legata all’allevamento, spicca il boom degli animali da compagnia, come sottolinea Carlos Romano, direttore del settore dedicato al cibo per animali del gruppo elvetico in America Latina:”La regola generale – dice all’Economist –è che l’istinto di prendersi cura degli animali nasce quando i redditi di una famiglia superano i cinquemila dollari all’anno”. Non a caso è la Cina a registrare il maggior incremento: i cani da compagnia sono oggi 74-75 milioni, con un tasso di espansione a doppia cifra.
Il fenomeno ha contagiato Wall Street, che ha cancellato il ricordo di “Pets.Com”, il sito che nel Duemila diede il via con un ribasso drammatico, allo sboom della Bolla del Duemila. Altri tempi. Oggi tra le matricole più brillanti c’è Chewy, che vende online cibo e medicine per animali domestici, che a giugno ha esordito sul listino con un rialzo del 60%, per la gioia della casa madre, Zoetis, a sua volta nata da un fortunato spin-off dal colosso Pfizer. E la storia è destinata a ripetersi: Zoetis, rileva il Financial Times, ha appena annunciato l’acquisto di Platinum Performance, una società californiana che studia formule alimentari per cani e gatti. General Mills ha pagato 8,8 miliardi di dollari per acquistare Blue Buffalo, un’azienda che produce cibi naturali per cani e gatti. Non c’è da stupirsi. Altrove, su canali come Tails nel Regno Unito e Feed my furbaby in Nuova Zelanda i proprietari dei cani possono ordinare cibo preparato in base alle necessità specifiche dei loro animali.
Il negozio Musti ja Mirri a Tammisto, un quartiere di Helsinki, suggerisce fin dove possa spingersi questo processo. Il negozio non vende solo una vasta gamma di cibo pronto per animali, compresi gelati, cibo senza cereali e alimenti con un’enorme varietà di caratteristiche, tra cui l’età avanzata, i problemi urinari e una “digestione difficile”. Dispone anche di due congelatori con carne fresca. I commessi sostengono che sono sempre più numerosi i proprietari di cani che aggiungono questa carne al cibo pronto, nella convinzione che sia più naturale e salutare. In linea con la tendenza ad “umanizzare” i rapporti con gli amici a quattro zampe.
L’Italia partecipa a pieno titolo al fenomeno. Per i sessanta milioni di animali domestici che popolano il Bel Paese nel 2018 sono stati spesi oltre due miliardi di euro (+3,8% a 2.051 milioni) per 573.940 tonnellate commercializzate. In particolare, registrano aumenti a doppia cifra le catene specializzate (+17,8%) che crescono ad un tasso cinque volte superiore ai punti vendita tradizionali. Fra le eccellenze del settore spicca Arcaplanet: il colosso ligure di petfood, fondato nel 1995 da Michele Foppiani, è leader in Italia ed è la terza realtà in Europa per dimensioni. Forte di circa 300 punti vendita diffusi in 15 regioni e di un giro d’affari complessivo superiore ai 250 milioni di euro, Arcaplanet ha compiuto un balzo in avanti decisivo nel 2017 anche grazie a importanti acquisizioni come quella di Fortesan, che il gruppo genovese, partecipato dai Fondi Permira, ha acquisito da Mondial Pet Distribution e da Edmond De Rothschild Investment Partners. Il trend è in costante crescita anche perché, conferma l’indagine condotta nel 2017 da Gfk, l’ 88% dei proprietari di animali e il 70% dell’opinione pubblica riteneva che cani e gatti fossero a pieno titolo componenti della famiglia. L’Anmvi (l’Associazione nazionale medici veterinari italiani) – rileva che i proprietari di animali over 65 sono saliti dal 21,5 al 23,7% del totale negli ultimi sette anni e che sempre più numerosa era la percentuale dei single (dall’8,4 all’11,1%) che compensano la solitudine con un “pet”, che del resto rappresenta spesso un’infallibile arma di seduzione.
La conferma arriva da un esperimento. Dieci anni fa alcuni ricercatori hanno collocato un uomo di vent’anni in un parco a Parigi e gli hanno fatto ripetere la stessa frase per avvicinare 240 ragazze. Quando non aveva un cane, ha ottenuto il numero di telefono delle donne nel 9 per cento dei casi. Con un cane al guinzaglio invece la sua percentuale di successo è salita al 28 per cento. Una ricerca più recente condotta sugli utenti di Match, un sito per appuntamenti, conferma che molte donne sono attratte da uomini con cani. Ai proprietari di gatti va un po’ peggio, forse perché il possesso di un gatto è una dimostrazione meno convincente di competenze domestiche (gli uomini sembrano farci meno caso). Ma i felini hanno di che consolarsi. Secondo le previsioni di Euromonitor, il numero di gatti tenuti come animali da compagnia in tutto il mondo crescerà del 22 per cento tra il 2018 e il 2024, mentre quello dei cani aumenterà del 18 per cento. I gatti sono più adatti a vivere in appartamento rispetto ai cani, perciò sono più a loro agio nelle città asiatiche, densamente popolate e in rapida crescita. Sono anche più tolleranti nei confronti degli orari di lavoro imprevedibili dei loro proprietari.
Per giunta, assicura The Economist, la tendenza è a miniaturizzare gli amici dell’uomo: alcuni dei cani più popolari sono grandi più o meno quanto un gatto. All’inizio dello scorso anno il bulldog francese ha superato il Labrador retriever nella classifica di cane di razza più popolare nel Regno Unito. Poco dietro si collocava il carlino. Secondo l’American kennel club, negli Stati Uniti dal 2002 a oggi il bulldog francese è passato dal cinquantottesimo al quarto posto nella classifica dei cani di razza più popolari. I bulldog francesi e i carlini hanno qualcos’altro in comune, a parte la taglia. Se ignorate le orecchie, somigliano a neonati. Hanno gli occhi grandi e i nasi schiacciati, al punto che tantissimi soffrono di problemi respiratori.
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