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Investments

Il primo fondo di private capital al mondo dedicato al retail è italiano

ritratto di pietro giuliani
Pietro Giuliani, presidente di Azimut (Imagoeconomica)

Come ottenere rendimento nell’epoca dei tassi a zero? E come far arrivare alle imprese i capitali di cui hanno bisogno in una fase di assottigliamento del credito bancario?
Lo strumento per centrare entrambi gli obiettivi esiste ma fino ad oggi era appannaggio unicamente di investitori istituzionali o dei family office per via di soglie di accesso proibitive.
Si tratta degli strumenti di private capital, suddivisi tra private equity e private debt, che permettono di investire in attività reali, tipicamente connesse al mondo produttivo e non quotate su mercati finanziari.
L’accesso a questi strumenti sta però per cambiare perché per la prima volta un fondo chiuso di private equity si rivolge al pubblico retail, quindi al pubblico dei risparmiatori individuali.
A dare vita a quella che è per molti aspetti accomunabile a una piccola rivoluzione è la prima società indipendente italiana del risparmio gestito, Azimut, che ha annunciato il lancio di un fondo di questo tipo con un importo minimo di sottoscrizione pari a 5mila euro (solitamente la soglia minima varia dai 100 ai 500mila euro).
“Abbiamo democratizzato lo strumento”, ha sintetizzato Pietro Giuliani, presidente di Azimut, che punta, anche attraverso questo strumento ad arrivare nel 2024 a raggiungere una quota del 15% del patrimonio investito su mercati privati e alternativi (oggi tale quota è pari all’1%).
Con vantaggi stimati anche per i clienti, dato che negli ultimi 10 anni le attività quotate hanno generato rendimenti medi del 7,5% e gli asset alternativi del 12%. Azimut vede questi vantaggi nell’ordine del 5-10%, per una sovraperformance su un portafoglio medio pari all’1,5%, anche grazie alla decorrelazione che le attività non quotate hanno nei confronti dell’andamento dei mercati finanziari.
C’è naturalmente una motivazione che fin qui ha impedito a strumenti alternativi di essere venduti al pubblico dei risparmiatori: l’illiquidità più alta della media di buona parte di questi strumenti. Una problematica che Azimut ha superato con l’estrema diversificazione degli strumenti inseriti in portafoglio
C’è poi naturalmente anche il tema di mettere a frutto quella liquidità che oggi è ferma. “Pensiamo di supportare in 5 anni 500 aziende che potranno creare 50mila nuovi occupati”, ha spiegato Paolo Martini, direttore generale e amministratore delegato di Azimut Holding. “In un momento storico in cui a fronte di una ricchezza finanziaria che nel nostro Paese è pari a 4.287 miliardi di euro, altri 1.371 miliardi sono fermi sui conti correnti. Occorre spostare asset improduttivi verso le imprese”. Un’operazione con un potenziale ampissimo, considerando che a oggi sono solo 27 i miliardi di asset in gestione nel private capital contro i 2.210 miliardi nel risparmio gestito.
Il prodotto si chiama Azimut Demos I, è disegnato da Azimut Libera Impresa SGR (piattaforma che comprede ad oggi 8 fondi) e partirà con una dotazione di 350 milioni di euro da investire in aziende italiane, con un fatturato compreso tra i 30 e i 250 milioni e un ticket di investimento per operazione dai 20 ai 60 milioni di euro.

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