Cronaca di un successo. Nel 2014 fatturava 13 mila euro. Nel 2018, 1.4 milioni che arriveranno a due milioni entro l’anno. Ha conosciuto un crescendo rossiniano l’azienda di Francesco Tava (1981), ad Arco, in provincia di Trento. Tava – questo il nome – realizza anfore per vinificazione e affinamento, manufatti che attraversano l’intero globo. Fra le soste predilette, gli Chateaux del Bordeaux: la Francia assorbe infatti il 65% dell’offerta. Ci sono poi le aree vitivinicole chiave, dal Sudamerica a Napa Valley, dal Sudafrica al Libano, pur islamico. Incuriosita anche l’Italia, da Clerico ai Lunelli di Cantine Ferrari.
Alla base del successo c’è un fallimento sfiorato, l’individuazione di una nicchia di mercato in espansione, la riconversione aziendale e l’intelligenza di puntare su ricerca e qualità. Piccolo passo indietro. Anno 2011, Francesco Tava studia, senza troppa fretta, Filosofia all’Università di Padova ma deve rientrare in Trentino. Papà ha un incidente, sorgono complicazioni, quindi deve occuparsi lui del piccolo laboratorio che da tre generazioni produce stufe in ceramica. “Mi imbattei in una società piccola e indebitata, espressione della peggior accezione dell’artigianato fra gli anni Novanta e Duemila. Era un colabrodo. 200mila euro di fatturato e 250mila euro di debiti. Mi consultai con un amico commercialista. Creai una Srl uni-personale, presi in affitto la società di papà chiudendo un accordo per il prepensionamento. Anche se in fondo il prodotto non mi intrigava particolarmente, continuai a fare stufe. Poi, nel 2013, un enotecario, che oggi lavora con me, mi invitò a una degustazione di vini. Fu così che incontrai dei viticoltori che usavano anfore. Mi raccontarono i pro e i contro del prodotto”.
Francesco Tava si concentrava sui “contro”, su quella porosità che causa l’ossidazione del vino e rende difficile abbattere la carica batterica indesiderata. “Decisi di intraprendere una sperimentazione seria per risolvere i problemi. Coinvolsi l’enologo Luciano Tranquillini e il professore Attilio Scienza. Da questa collaborazione nascevano i primi due prototipi: li testammo con dello Chardonnay. Nel 2014 partecipavo alla Fiera FIVI di Piacenza. E lì, mi resi conto che le mie anfore avevano appeal”. Iniziava il viaggio nei laboratori di ceramiche per trovare chi fosse disposto a implementare la sperimentazione. Solo la Cecchetto di Bassano del Grappa raccoglieva la sfida producendo un impasto di ceramica ad hoc. “Ero arrivato a questo impasto nel 2015, anno in cui il mercato delle stufe in ceramica aveva subito un crollo più invasivo dei precedenti. Decisi di concentrarmi sulle anfore, di tentare il tutto per tutto. L’amico commercialista preparava un business plan a regola d’arte e riuscii ad ottenere 80mila euro di prestiti bancari. Prendevo un capannone da 300metri quadrati. Eravamo io, mio fratello, che occupandosi di immobiliare non se la passava bene, e l’amico titolare dell’enoteca, altro business che non girava più. Iniziammo a fare le prime anfore incassando i primi 120mila euro. Nel 2016 ci collocavamo sul mercato francese, e così il fatturato arrivava a 360mila euro , ma sarebbe doppiato l’anno dopo”.
Ora la ditta conta 13 dipendenti nella produzione e due in amministrazione. “Oltre a me, c’è un socio, Filippo Cimitan, che ha acquistato il 9% delle quote, e l’amico dell’enoteca che nel frattempo s’è iscritto a Enologia: ho bisogno di un consulente esperto dei nostri prodotti, perché l’anfora è un contenitore antico ma sperimentale per l’uso che ne facciamo”.
A proposito di università, le ricerche sul prodotto continuano, anche per ottenere la certificazione di qualità così da diversificarsi rispetto alla concorrenza. “Eravamo soli, ma ora abbiamo 18 concorrenti. Tante fabbriche di cotto toscano stanno passando alla produzione di anfore per vino”. Ma come sempre, vince chi arriva per primo e si prende il mercato più referenziato. Le anfore Tava, per dire, viaggiano in abbinata con le botti Stockinger, le Ferrari del settore. Sono presenti negli Chateaux di punta, da Baron Philippe de Rothschild a Domaine Michel Magnien, così come nelle aziende più esclusive di Napa Valley, da Napa Valley Reserve a Dalla Valle Vineyards che collabora con il guru degli enologi Michel Roland: nome che è un’investitura indiretta.
“Noi costiamo molto, il 30% più della media, e non facciamo sconti” spiega Tava. Che aggiunge come incida la qualità del lavoro per il quale è preponderante la componente manuale. “Per questo i nostri dipendenti sono assunti a tempo indeterminato: devono sentirsi parte dell’azienda per poter dare il meglio. Abbiamo ragazzi dal Trentino, Ghana, Albania, Nigeria, Marocco e Gambia. Dai 18 ai 64 anni: non poniamo sbarramenti di nessun ordine. Mettiamo a disposizione due settimane per conoscerci vicendevolmente, due mesi per la formazione. Se si instaura un bel rapporto, assumiamo”. Tra questi ragazzi, anche due migranti richiedenti asilo. Ora in una botte – pardon: anfora di ceramica 4.0. Al sicuro.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .