i grattacieli di Shanghai
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La formula di Shanghai per ripartire subito. E cosa può insegnare all’Italia

i grattacieli di Shanghai
I grattacieli di Shanghai, con in primo piano la Pearl Tower (Shutterstock)

La capitale economica della Cina è ripartita subito, è già da due mesi nella “fase due”, ma è ancora lontana dalla normalità. Da alcune interviste a cinesi e italiani residenti, emerge chiara la complessità del rilancio e l’importanza di trovare formule sostenibili per ripartire al più presto.

Nel 2003, ai tempi della Sars, Shanghai fu una delle città più colpite sia dal punto di vista sanitario che economico. Furono sei mesi di totale panico, il mercato immobiliare crollò di oltre il 50% e molti dei primi stranieri che vivevano e investivano lì scapparono.

La lezione però è stata di grande utilità non solo per la città, ma per tutta la Cina, che ha gestito il Covid-19 in modo egregio, lo dimostrano i numeri locali rispetto a quelli del resto del mondo.

Questa volta Shanghai ha reagito alle notizie di Wuhan con grande velocità e determinazione, benché fosse a oltre 800 chilometri dal focolaio iniziale. Era la fine di gennaio e certamente anche il calendario lunare ha contribuito alla situazione. Di lì a pochi giorni sarebbero iniziate le feste del Capodanno Cinese, che è paragonabile al nostro Natale. Le scuole e le fabbriche sarebbero state chiuse comunque, così è bastato imporre un severo distanziamento sociale e poi prolungare le chiusure. La memoria storica di quel 2003 ha fatto il resto sulla popolazione, che con grande senso civico ha rispettato le imposizioni, salvando la città. I casi sono stati solo poche centinaia e pochissimi i morti, tanto che il governo locale è entrato in “fase due” già lunedì 10 febbraio.

Alla data di pubblicazione di questo articolo sono due mesi che Shanghai è ripartita e Forbes Italia ha voluto comprendere quale sia stato il processo e soprattutto a che punto sia. Per questo ha cercato voci vere, sincere, persone che contribuiscono alla vita e all’economia quotidiana di questa città.

Kelly Bao, è l’archetipo della classe emergente cinese: famiglia tradizionale, laureata, sposata e con un solo figlio, ora è una delle project manager di Nielsen Shanghai, sede locale della multinazionale delle analisi di mercato, e ci dice: “Sono tornata a lavoro quasi subito, naturalmente sempre con la mascherina, con il controllo della temperatura e della App quando esco dal condominio, quando entro in metropolitana e quando entro in ufficio. A pranzo, per non prendere rischi, mi faccio fare il delivery alla scrivania”. Visto l’osservatorio previlegiato del suo lavoro, ci facciamo anche raccontare come vanno i consumi. “Un boom pazzesco dell’e-commerce nelle prime settimane a casa. E questo era prevedibile, però pensavamo che sarebbe sceso con la riapertura, invece continua a rimanere altissimo. Da un lato le persone hanno ancora paura di uscire, dall’altro sono bastate poche settimane per cambiare le abitudini forse per sempre”.

Federico Bonotto, italiano, presidente di Faist China, sede locale di una multinazionale italiana della componentistica auto, ci racconta: “Per riaprire la fabbrica ho dovuto seguire delle procedure molto severe: disponibilità di mascherine per tre volte il numero di impiegati e operai; controllo di temperatura e App all’ingresso e all’uscita e report alla Polizia; chiusura dei sistemi di aria condizionata e finestre aperte; inutilizzo totale dei locali non arieggiati e altre attenzioni. Mi hanno fatto un audit subito il 10 mattina, se non lo avessi passato sarebbero tornati di 3 giorni in 3 giorni a controllare prima di darmi l’autorizzazione. Per fortuna che siamo ripartiti subito. Naturalmente il giro d’affari è calato drasticamente ma almeno ho tenuto i clienti. Nell’automotive è un attimo: se non consegni una volta, cambiano fornitore. Sarà un disastro per le aziende in Italia se non potranno riaprire subito”. Bonotto ci spiega anche come funziona questa App obbligatoria: “Praticamente a ogni varco, dalla metro ai negozi, c’è un controllo di un’informativa generata al momento da una App che ciascuno ha sul proprio cellulare. Questa registra tutti i tuoi spostamenti in relazione anche a quelli degli altri e mostra tutti i dati personali, soprattutto lo status: verde, giallo, rosso. In pratica ti puoi muovere liberamente solo se sei verde. Con il giallo già non entri nella gran parte dei luoghi e con il rosso vieni segregato. Naturalmente spostandoti tanto o frequentando persone a rischio, il tuo status da verde può diventare giallo e allora sono c…, insomma problemi seri”.

Anche Aldo Conetrali, general manager di Olimpia Splendid, azienda che produce condizionatori, è grato di aver riaperto velocemente: “Sono ancora in tempo a produrre per la stagione calda. Qua pian piano le cose stanno tornando alla normalità, da 10 giorni hanno anche riaperto la palestra”.

Isabel Gu, cinese sofisticata, single, ha lavorato a Londra da Sotheby’s e adesso fa la consulente d’arte per i ricchi cinesi, non si nasconde: “Una noia mortale: musei e gallerie chiuse, niente vernissage, niente cene… sono chiusa in casa da mesi. È vero che pian piano riaprirà tutto, ma la gran parte dei miei clienti adesso pensa a come rimettere in piedi i propri affari e si è dimenticata dell’arte”.

The Fellas, Shanghai, la notte del 10 aprile 2020 (Foto credit: Emanuele Manenti)

Abbiamo voluto finire intervistando chi a Shanghai ha il polso della situazione sia economico che sociale.  Mattia Visconti è titolare di una società di gestione di ristoranti e locali notturni frequentati sia da cinesi che stranieri residenti e di passaggio, il più famoso è il The Fellas: “Non ci hanno mai obbligato a chiudere, ma all’inizio ci hanno imposto delle regole ferree su distanza, mascherine, temperatura, App, ecc.. Sinceramente, per settimane la clientela è stata veramente poca, però stando aperti abbiamo comunque potuto tenere il personale senza licenziare nessuno. Adesso, dopo mesi, finalmente nel weekend siamo pieni, ma durante la settimana è ancora durissima”.

Shanghai è stata chiusa solo tre settimane, è ripartita da due mesi ed è ancora lontana dallo splendore che fu. Che sarà di un’Italia chiusa per mesi e che inizia solo ora a pianificare una riapertura?

 

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