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Il dopo Coronavirus visto dalla dinastia industriale più antica del mondo

Franco Gussalli Beretta_nell’impianto di Gardone Val Trompia (Courtesy Beretta)

Franco Gussalli Beretta, presidente e a.d. di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta, rappresenta la quindicesima generazione della dinastia industriale più antica del mondo. La sua azienda fabbrica armi – tra l’altro in dotazione alle Forze armate italiane e statunitensi – dal 1526 e da sempre ha il suo quartier generale a Gardone Val Trompia, alle porte di Brescia. Eccelle fra i più importanti gruppi produttivi di armi portatili: per l’80% destinate a caccia e sport, quindi impiegate nella difesa. E’ uno dei tre leader mondiali in termini di fatturato (700 milioni di euro), addetti (3mila), quantità e tipologia del prodotto nonché investimenti (36 milioni di euro).

Franco Gussalli Beretta  è il quarto protagonista del ciclo di interviste dedicate al dopo Coronavirus progettato dai grandi dell’imprenditoria italiana.

 

Brescia è stata duramente colpita dal Covid, ma freme per ripartire.  O meglio: Beretta è già ripartita…

Abbiamo ottenuto le autorizzazioni e l’accordo sindacale per riprendere il 14 aprile, ovviamente con le precauzioni del caso. Noi industriali ci stiamo attrezzando per un nuovo modo di operare. La parte impiegatizia procede con il telelavoro. Per l’area produttiva vi sono altre complicazioni che però possono essere affrontate con determinate metodologie tra l’altro già testate da chi, penso al settore alimentare, è rimasto attivo in questa fase.

Beretta rientra fra le quattro aziende pilota del progetto di ripresa di  Brescia. In cosa consiste e come è nato?

Trascorse cinque settimane dall’inizio dell’emergenza sanitaria, a Brescia si è iniziato a trovare soluzioni per scongiurare una crisi economica, avendo come priorità la tutela della salute delle persone. Così, si è riunito  il Sistema Brescia in un tavolo di lavoro composto dal Prefetto, come coordinatore dei lavori, l’Università di Brescia, quale ente scientifico e anello di congiunzione con gli enti sanitari competenti, gli Spedali Civili, la ATS e l’Associazione industriale, ente economico di riferimento. Siamo arrivati a un protocollo con le linee guida per strutturare i sistemi di protezione e prevenzione della diffusione del virus, e con indicazioni sulle nuove modalità organizzative da adottare all’interno delle aziende per la ripartenza.

E così siete arrivati all’accordo che assicura il ritorno alla vita produttiva.

Un accordo siglato da tutti gli attori coinvolti e dai tre enti sindacali provinciali. Si è quindi identificato un gruppo di aziende pilota, che avevano già le autorizzazioni per la ripartenza, alle quali si è aggiunta anche l’Università in qualità di datore del lavoro, nelle quali a partire da questa settimana si sta testando il nuovo protocollo, che permetterà poi con le ultime rifiniture di prepararsi correttamente a una ripartenza globale in sicurezza.

Beretta è sopravvissuta a guerre, pestilenze, calamità, pandemie. Cosa rappresenta per voi la “guerra” del Covid-19 se comparata ai conflitti del secolo scorso?

Allora il nemico era chiaro e dichiarato, qui il nemico è subdolo, non identificato. Siamo consapevoli che per un po’ dovremo conviverci. Non possiamo quindi mettere un punto, andare a capo e pensare alla ricostruzione come accadde nella fase del dopoguerra. Dobbiamo tener conto di una fase intermedia che ha la stessa gravità di un post pur non essendo un post. Ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte.

Vediamo la “parte” degli imprenditori.

Stiamo imparando a come gestire la fase che precede la cosiddetta normalità. E l’esito è il protocollo di cui parlavo. Il rettore dell’università di Brescia ha fatto un paragone particolarmente calzante. Oggi i medici sono quelli in prima fila nella cura e nello studio del vaccino. Nessuno ha la bacchetta magica e la soluzione  pronta, si va per tentativi pur con cognizione di causa. E come i medici, noi imprenditori dobbiamo preoccuparci di evitare una seconda tragedia, quella economica e dunque sociale, mettendo in campo quello che sappiamo e gli strumenti più opportuni. E questo mentre si convive con il virus, una convivenza che dobbiamo imparare a fare procedendo a piccoli passi. I medici l’affrontano da un punto di vista sanitario, noi da un punto di vista imprenditoriale gestendo al meglio le nostre imprese. Da una parte c’è massima attenzione all’aspetto sanitario, dall’altro a come si può lavorare pur in totale sicurezza.

Di cosa ha bisogno l’imprenditoria italiana per ripartire? Come giudica le misure prese dal Governo e quelle che si prospettano? Dove stanno le falle? Consigli, richieste?

Noi imprenditori stiamo trovando soluzioni su come ripartire da un punto di vista pratico. Sicuramente il versante finanziario sarà importantissimo. Bisogna avere memoria di quanto fatto nel secondo dopoguerra, penso al Piano Marshall e do per scontato che vada fatto qualcosa di molto importante perché – stando a quello che sento – altrimenti molte imprese non potranno riprendere. Deve esserci un’iniezione di liquidità. Per sua natura, l’imprenditore rischia e chi si è esposto in tal senso, chi ha fatto grossi investimenti ma molto al limite perché le condizioni lo consentivano, ora traballa. Un’emergenza di tale portata e così improvvisa ha cambiato i parametri.  Quanti erano coinvolti in un certo processo di crescita e hanno fatto investimenti importanti, oppure sono di dimensioni limitate e vivono della cassa di tutti i giorni, bene questa tipologia di azienda deve avere gli strumenti per superare il guado.

L’altro tema importantissimo è la tempistica, la velocità d’azione. Chi sta al Governo deve fare in modo che le risorse arrivino il prima possibile.

Quale insegnamento dovrebbe trarre l’Italia da questa crisi? Quale eredità positiva dovrebbe lasciarci in dote la pandemia?

Sono sicuro che dopo questa crisi tutte le nostre realtà avranno capito l’importanza della digitalizzazione, dallo smart working alla gestione dei dati. La nazione dovrà fare investimenti in questa direzione, perché se prima erano considerati importanti ora è chiaro che sono condizioni di esistenza. Ma anche qui, è una questione di tempismo: bisogna agire velocemente. E’ importante restaurare la cultura della ricerca, innovazione e velocità

E la velocità è in antitesi con la burocrazia.

Infatti bisogna sburocratizzare. Oltre ad allocare risorse per la ricerca, bisogna creare le condizioni perché queste poi facciano funzionare la “macchina”. Purtroppo la burocrazia mette troppi vincoli e blocca, quindi non c’è quella immediatezza e velocità che oggi più che mai sono fondamentali. Quando torneremo alla normalità, la velocità sarà ancora più importante perché gli altri Paesi non si fermano e noi dobbiamo avere la giusta infrastruttura se vogliamo tener testa ai nostri competitor.

Avete dipendenti che lavorano in Beretta da cinque generazioni. C’è un senso di appartenenza all’azienda decisamente al di sopra della media. Questo fattore quanto sta incidendo nella ripresa?

E’ sempre stato il punto di forza della nostra azienda che veramente è una grande famiglia. L’imprenditore è focale perché offre con giusta oculatezza i mezzi finanziari per far crescere le persone e l’azienda, ma dall’altra parte abbiamo un grande capitale umano che è l’asse più importate di cui si disponga. L’impresa è fatta dall’imprenditore che ha le sue competenze e responsabilità, ma il capitale umano è fondamentale. Per questo nella fase iniziale, quella dell’incertezza, chiudere è stato doveroso, così come oggi i nostri collaboratori ci stanno aiutando a trovare le migliori soluzioni per la ripresa.

Altro fattore per la ripresa: il mercato. Cosa s’aspetta?

E’ la grande incognita. Andrà ricercato di nuovo. Beretta va direttamente al consumatore finale, s’aggiunga che è articolata in varie parti del mondo. Per dire che qualche sacca di mercato l’abbiamo mantenuta e sicuramente la ritroviamo. Altre sono già chiuse e dovremo vedere se avranno volontà e capacità di ripartire.

Anche perché vi sono mercati che non aspettano e non giustificano le assenze prolungate. Corretto?

Certo, ed è per questo che la chiusura non può assolutamente essere prolungata. Perché il mercato di alcune aziende è limitato e se vengono espulse poi avranno difficoltà a rientrare. Perso lo spazio è poi difficile recuperare. E questo vale per tutti ma in particolare per chi è legato a grandi industrie, non ha dimensioni internazionali ed è specialistico.

I Paesi in cui siete presenti come stanno reagendo alla crisi. Penso anzitutto agli Usa e alle vostre fabbriche nel Colorado, Ohio, Tennessee, e al quartier generale nel Maryland.

Gli Usa sono una federazione. Il Presidente dà le direttive ma ogni Stato ha proprie cognizioni e preoccupazioni. Assistiamo a comportamenti completamente diversi. A New York, dove abbiamo negozi, è zona rossa e non c’è nessuna attività. Nel Maryland c’è una crescente preoccupazione e limitazione, dunque lo smartworking è ormai in atto. Nella fabbrica del Tennessee abbiamo assunto iniziative simili a quelle adottate in Italia poi alcuni reagiscono non volendo venire a lavorare, altri invece per il senso del dovere vengono ma rassicurati da procedure a favore della sicurezza. Le chiusure sono comunque più limitate nel tempo.

E invece cosa accade nell’azienda in Finlandia?

Per la parte impiegatizia c’è smartworking, in fabbrica si continua ma con varie procedure. In sintesi direi che  il mondo si sta muovendo in modo abbastanza simile poi dipende dalla gravità dell’emergenza.

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