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Studi professionali: i chiarimenti dei consulenti su tutela della salute e controlli negli uffici

(Shutterstock)

L’ormai fatidica data del 4 maggio ha comportato la possibilità  per molti di rientrare al lavoro e per tanti professionisti di riaprire i propri studi. Ma non con estrema facilità. É necessario, infatti, mettere in sicurezza gli ambienti per tutelare innanzitutto la salute, propria, di clienti e collaboratori, e anche la privacy, rispettando le normative emergenziali vigenti. A tale scopo, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con la circolare n. 12/2020, ha pubblicato le risposte alle domande più frequenti su questi temi per consentire una fattibile organizzazione degli spazi e dei momenti di lavoro e conoscere diritti e doveri di datori di lavoro e lavoratori. Nel documento, inoltre, utili consigli per essere pronti agli eventuali controlli dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che, come noto, ha chiesto ai propri Uffici territoriali di contribuire, su richiesta delle Prefetture, alle necessarie verifiche circa la ricorrenza delle condizioni previste per la prosecuzione (ove consentita) delle attività  produttive, industriali e commerciali, in un’ottica di doverosa collaborazione alla gestione della emergenza in corso.

 

LO STUDIO PROFESSIONALE O L’AZIENDA, IN BASE AI CONTENUTI ESPRESSI NEL PROTOCOLLO COVID-19 AGGIORNATO AL 24 APRILE 2020, COSA DEVE PREDISPORRE PER PERSONALE, COLLABORATORI, CLIENTI A LIVELLO PREVENTIVO, IN CASO DI SINTOMI DA INFEZIONE DA CORONAVIRUS?

Una informativa messa a disposizione presso lo studio per il dipendente e/o collaboratore, sui rischi epidemiologici da Covid-19, recante nello specifico: obblighi del lavoratore, avvertenze da contagio da virus Covid-19, regole per la disinfezione/lavaggio delle mani, misure igienico-sanitarie, modalità di ingresso in studio del dipendente-collaboratore, utilizzo della mascherina fornita dallo studio, avvertenze nell’uso corretto dei guanti.

 

COSA BISOGNA ESPORRE NELLO STUDIO PROFESSIONALE IN PROSSIMITÀ DEI LUOGHI COMUNI DI LAVORO?

L’informativa che è stata predisposta per i dipendenti e/o collaboratori.

 

QUALI SONO I SOGGETTI TENUTI A FIRMARE IL DOCUMENTO PRODOTTO, PREVISTI NEL PROTOCOLLO COVID-19 SUGLI AMBIENTI DI LAVORO, PUBBLICATO IL 14 MARZO 2020 E AGGIORNATO IL 24 APRILE, ALLEGATO N.6 DEL DPCM 26 APRILE 2020?

Il datore di lavoro si deve confrontare con il Servizio di Prevenzione e Protezione, tra cui il R.S.P.P., nel caso in cui non abbia egli stesso assunto la Responsabilità del Servizio di Prevenzione e Protezione e abbia demandato ad una figura esterna, con il Medico Competente, il R.L.S. o in mancanza il R.L.S.T.

 

IL TITOLARE DELLO STUDIO PROFESSIONALE PUÒ ADEMPIERE DIRETTAMENTE AL PROCESSO DI SANIFICAZIONE DEI PROPRI AMBIENTI DI LAVORO?

Sì, il datore di lavoro (titolare dello studio professionale) può farlo utilizzando le sostanze previste per la sanificazione, tra cui riportiamo i disinfettanti più comuni che possono essere impiegati nelle procedure di disinfezione per SARS-CoV-2 in base alle attuali conoscenze:

– ipoclorito di sodio (candeggina),
– etanolo,
– perossido di idrogeno (acqua ossigenata).

Se la persona incaricata delle pulizie è un o una dipendente, dovrebbe aver già fatto il corso su rischio chimico o comunque dovrebbe aver seguito il corso “lavoratori” dove si parla anche di rischio chimico e biologico in generale. A quel punto, si istruisce il lavoratore/lavoratrice su come deve comportarsi nello specifico per il Covid-19 e si redige un verbale nel quale si dichiara ciò che è stato fatto. Il personale addetto alla sanificazione deve essere formato adeguatamente sull’utilizzo delle sostanze chimiche necessarie e ovviamente sui rischi specifici connessi.

 

LA SANIFICAZIONE È ATTIVITÀ REGOLAMENTATA DALLA LEGGE N. 82/94 E DM 274/97 CON RICHIESTA DI REQUISITI TECNICO-PROFESSIONALI. QUINDI NON PUÒ ESSERE ESERCITATA IN PROPRIO DAL PROFESSIONISTA?

Le norme citate riguardano l’esercizio dell’attività di impresa di pulizia (disinfezione, disinfestazione, derattizzazione o di sanificazione) e prescrivono il conseguimento di specifiche attestazioni per ottenere l’iscrizione nel registro e la possibilità di operare. Non contengono le prescrizioni o i divieti per casi di questo tipo, per i quali vale pertanto la risposta precedente.

 

LA SANIFICAZIONE È SEMPRE A CARICO DEL DATORE DI LAVORO?

Sì. L’art. 64 del decreto “Cura Italia”, ora convertito con modificazioni in legge n. 27/2020, stabiliva peraltro che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legge n. 18/2020, sarebbero stati stabiliti i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta riconosciuto dal primo comma dell’art. medesimo per spese di questo tipo. Tale decreto ministeriale non è stato ancora emanato.

 

L’ARIA CONDIZIONATA INTEGRATA IN UFFICIO È PERICOLOSA?

Oggi si parla di pericolosità dell’aria condizionata in relazione al Covid-19, ma in realtà gli esperti ci hanno sempre messo in guardia dai rischi di propagazione di altre malattie ugualmente letali (legionella): l’impianto deve sempre essere sottoposto a manutenzione e i filtri devono essere sanificati. Le principali associazioni degli impiantisti stanno organizzando un protocollo per gli interventi legati all’attuale emergenza.

 

NEL CASO DI PROFESSIONISTI TRA I QUALI VI SIA UN CONTRATTO DI COWORKING, SU CHI INCOMBONO GLI ADEMPIMENTI?

A ciascun datore di lavoro competono gli adempimenti nei confronti dei propri dipendenti, nonché l’adozione delle misure necessarie a poter ricevere la clientela in sicurezza.

 

IN CASO DI DATORE DI LAVORO CON PROBLEMI CARDIACI, QUINDI AD ALTO RISCHIO, SI PUÒ CHIEDERE AI LAVORATORI DI EFFETTUARE IL TAMPONE PRIMA DI RIENTRARE AL LAVORO?

Al momento ciò pare non essere possibile in forza di quanto disposto dall’articolo 5 dello Statuto dei lavoratori.

 

DEVE ESSERE VIETATO ALLA CLIENTELA DI STUDIO L’USO DEI SERVIZI IGIENICI?

Il protocollo contempla il divieto per i corrieri in quanto estranei alla struttura e non contempla la clientela, per cui la scelta è rimessa al titolare dello studio.

 

PER CHI NON HA DIPENDENTI MA HA UNA STANZA IN UNO STUDIO ASSOCIATO E NON È UN ASSOCIATO: COSA DEVE FARE?

Lo studio associato da parte sua dovrà provvedere agli adempimenti in parola e “l’inquilino” dovrà rispettare le regole adottate e farle rispettare ai propri clienti.

 

COME PROVIAMO CHE ABBIAMO FORMATO I DIPENDENTI INCARICATI SULLA SANIFICAZIONE? DEVONO AVER FREQUENTATO UN CORSO?

Risposta affermativa (vedi anche una delle risposte precedenti su incaricato e corsi).

 

SE TENGO LO STUDIO CHIUSO AL PUBBLICO E NON HO DIPENDENTI POSSO EVITARE DI INSTALLARE TUTTI I DISPOSITIVI DI PREVENZIONE TIPO CARTELLI CONTENENTI MESSAGGI PER IL DISTANZIAMENTO INTERPERSONALE, BARRIERE IN PLEXIGLASS, TERMOSCANNER, ECCETERA?

Se l’attività è chiusa ovviamente non è necessario alcun adeguamento.

 

OBBLIGHI DA RISPETTARE ANCHE PER I CONSULENTI CHE NON HANNO DIPENDENTI?

L’assenza di personale dipendente non esime dall’adozione delle misure idonee a prevenire il contagio e quindi distanziamento, mascherine, guanti, sanificazione.

 

SI DEVE FAR FIRMARE AL DIPENDENTE UNA AUTOCERTIFICAZIONE DOVE SI ATTESTA CHE IL DATORE DI LAVORO GLI HA FORNITO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE?

Valgono le ordinarie regole in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro in forza delle quali la consegna dei DPI, la formazione e l’addestramento sono comprovate da specifici verbali.

 

LA DICHIARAZIONE DELLA RILEVAZIONE DELLA TEMPERATURA VA MANTENUTA IN AZIENDA?

L’annotazione delle misurazioni della temperatura corporea è sconsigliata perché realizzerebbe un trattamento di dati personali di tipo sanitario (vedi anche capitolo successivo).

 

SE UN DOMANI UN DIPENDENTE ACCUSA IL DATORE DI LAVORO, DICENDO CHE AVEVA DICHIARATO DI AVERE UNA TEMPERATURA OLTRE I 37.5°, MA IL DATORE DI LAVORO LO AVEVA FATTO ENTRARE UGUALMENTE IN AZIENDA, COME SI DIFENDE QUEST’ULTIMO?

Va premessa la considerazione circail ruolo del lavoratore nell’ambito dell’adempimento alle prescrizioni con finalità di tutela della salute, che lo vede, innanzitutto ai sensi dell’art. 20 T.U., quale specificazione della più generale obbligazione che gli incombe ex art. 2104 c.c., compartecipe – con assunzione di responsabilità propria in caso di suo inadempimento – della realizzazione di queste finalità.

Nel caso specifico, la risposta circa gli esiti non può essere univoca. Sarà il lavoratore che “accusa il datore di lavoro” a dover dimostrare di aver adempiuto alle linee guida secondo l’informativa ricevuta. E il datore di lavoro a contestarlo, allegando le prescrizioni e l’informativa stessa.

In ogni caso, il comportamento doloso, come appare prospettato dal quesito, rompe il nesso eziologico delle rispettive responsabilità, spostando l’indagine in campo meramente processuale, estraneo (per fortuna) allaroutineordinaria dell’attività di studio.

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