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Quanto conta davvero la sexyness per fare carriera?

(Shutterstock)

di Roberto D’Incau, Founder& ceo Lang& Partners Younique Human Solutions

Alcuni anni fa un’azienda del settore FMCG mi contattò, ancora in fase di concept di un prodotto per il target maschile, per sapere cosa ne pensavo del binomio bellezza del sorriso e carriera: mi chiesero se eravamo disposti a dare una consulenza sul tema e a organizzare dei workshop. All’inizio tra me e me sorrisi, poi discutendone coi miei collaboratori pensai che era un’ottima idea rifletterci. Il binomio meritava una riflessione non superficiale, e andava a investire il concetto di sexyness latu sensu. Cos’è la sexyness intanto? Non è avere un bel fisico e presentarsi con tacco 12, o col bicipite gonfio e oliato ovviamente. Siamo andati oltre questi stereotipi per fortuna, altrimenti solo i belli farebbero carriera, e sappiamo non essere certo così.

Sexyness (attrattività) in realtà è lo stare bene con se stessi; dare un’immagine di se all’esterno coerente con quello che siamo, senza forzature; non essere sempre negativi, ma al contrario propositivi e ben disposti ad ascoltare gli altri; essere sicuri di sé e assertivi, senza nascondere però le proprie fragilità. Tanta roba, mi si dirà: vero, ma è cosi. Mi piace pensare che la sexyness, la propria attrattività percepita, sia prima di tutto un proprio mindset, settato non sulla “sfigaggine” e la diminutio di se, ma al contrario su una propria percezione di sé e del mondo realisticamente positive. Quanto conta l’attrattività, così definita, nel fare carriera? Tantissimo. Conta in fase di selezione, in fase di relazione coi colleghi e coi capi, nelle relazioni con chi deve valutarci, con i clienti interni e esterni, con gli headhunter, con noi stessi: una persona con una buona dose di autostima, che si considera “attrattiva” non per quello che indossa ma per quello che è, è più soggetta a fare carriera e ad avere successo. E’ tutta una questione di avere delle risorse, in primis, di crederci, e di tirarle fuori al momento opportuno.

Non bisogna però confondere la buona percezione che si ha di sé con l’eccesso di autostima, che porta a essere inutilmente arroganti e sgradevoli: lo vediamo spesso. Come sottolineo anche nel mio libro “Lessico della felicità”, dedicato ai soft skill che ci migliorano la vita, la sexyness viene tutta da una buona, rotonda autostima di sé. Distinguerei tra quella posticcia, propria degli arroganti, che un buon esperto di risorse umane “sgama” dopo cinque minuti di conversazione, e l’autostima interiorizzata, più morbida ma meno effimera, quella che contempera le due nostre parti, quella fragile e quella più forte: se si nega la parte più debole, come se fosse un’aporia, si sta negando la verità e quello che esce dalla porta, la propria insicurezza, rientra dalla finestra; se invece la accetti come una delle tue splendide debolezze, ecco proprio in questo risiede la vera autostima e la chiave della sexyness, nell’accogliere anche la propria parte più fragile.

Aggiungo, infine, apparentemente in contraddizione, che proprio perché la “sexyness” è così importante, al tempo stesso è anche uno degli elementi più importanti da cui un headhunter non deve farsi intrappolare: gli studi psicologici mostrano che decidiamo se una persona ci piace o non ci piace già nei primi 120 secondi di un incontro. Il modo con cui una persona comunica, parla, come si presenta, come interagisce non noi all’inizio di un primo incontro sono tutti elementi che ci posso incantare o al contrario respingere. E’ ovvio che è più facile farsi “incantare”, in qualunque interazione umana, compreso un colloquio di lavoro, da chi è più attrattivo e comunica meglio: bisogna ovviamente, però, valutare oltre al contenente anche il contenuto. Qualche tempo fa ebbi un confronto serrato con la direttrice risorse umane di un gruppo della cosmetica: secondo lei lo standing (la “sexyness”) non andava presa neppure in considerazione in un colloquio. Peccato che la sua fosse una mera dichiarazione formale, di fatto la sua azienda non prendeva neppure in considerazione chiunque non fittasse con i loro standard, molto rigidi. Molto meglio, a mio avviso, essere concreti e realisti: di fatto uno non esclude l’altro, contenente e contenuto sono entrambi condizioni importanti per il successo professionale.

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