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Il Vietnam che non ti aspetti: così il Paese sta scommettendo su una generazione di nuovi imprenditori

Ho Chi Minh (Getty Images)

“Sto facendo una ricerca per la mia scuola e per creare una startup posso mandarle un Google Form?”, approcciano così i turisti Khoi e Thien, 16 e 17 anni, un inglese oxfordiano, imparato a scuola con 8 ore di lezione a settimana. Vuole studiare ingegneria a impatto sostenibile, possibilmente in Australia, e poi tornare in Vietnam per “creare un impatto sul Paese”. Thien si esprime come un adulto e sembra conoscere i trend dei mercati globali e della società. Parla di sostenibilità, di gender equality, di intelligenza artificiale e di coding, fa parte della nuova generazione di vietnamiti, cresciuti a pane (o meglio baguette, vista l’influenza francese che ancora vive il Paese), tecnologia e crescita.

Una generazione di 15 milioni di giovani tra i 15 anni e i 24 su un totale di 98 milioni di cittadini, dove solo il 7,9% ha più di 65 anni e l’età media è poco più di 30, una coorte di studenti, e futuri lavoratori, imprenditori, consumatori su cui il Paese sta scommettendo per far uscire sempre più fette di popolazione dalla trappola della povertà. Khoi e Thien frequentano la Tran Dai Nghia High School for the Gifted, una delle scuole di eccellenza di Ho Chi Minh City, creata dal governo con il preciso obiettivo di formare una nuova classe dirigente.

Gli investimenti in istruzione (circa il 6% del Pil) portano i loro frutti: una rilevazione dell’Oecd ha inserito gli studenti del Vietnam, all’ottavo posto al mondo per alfabetizzazione in matematica, scienze e lettura.

Anche le famiglie fanno la loro parte, e nei centri commerciali, accanto ai karaoke e ai negozi di vestiti, e persino qualche pista di pattinaggio sul ghiaccio al coperto (come quella del Vincom Center ad Ho Chi Minh City), stanno nascendo sempre più centri per l’apprendimento: piccoli laboratori privati che insegnano a bambini i principi di logica, gli scacchi e la matematica. Una tendenza partita da Paesi come Corea e Thailandia, abbracciata da molti genitori, almeno quelli che possono permettersi di investire ulteriori risorse sui propri figli.

Un centro per l’apprendimento e la logica dedicato ai bambini.

Le giovani generazioni sono le vere protagoniste del ‘nuovo Vietnam’, un Paese che tra grattacieli e natura incontaminata si sta trasformando con grande rapidità, passando da un’economia principalmente agricola e pianificata verso una nuova fase di industria e servizi. Un Paese in cui si incrociano grattacieli e progetti immobiliari futuristici di Ho Chi Minh e distese sconfinate di risaie come la i territori di Pu Luong, dove il tempo sembra essersi fermato.

Come ogni giovane vietnamita, Khoi sorseggia una bevanda ghiacciata al caffè, un consumo che oggi nel Paese (secondo esportatore di caffè al mondo dopo il Brasile) è considerato uno status symbol, e ha portato all’apertura di migliaia di bar e caffetterie, ma anche ad un aumento esponenziale dei casi di diabete, patologia che colpisce oltre 5 milioni di persone nel Paese, anche a causa del consumo medio di zucchero, il doppio di quello consigliato dall’Oms.

Con un Pil cresciuto in 20 anni da $ 31 miliardi a $ 261 miliardi (una crescita di oltre il 741%) il Vietnam si trova a vivere una fase di particolare floridità economica, risultato sia di scelte di politica pubblica ed internazionale, che hanno favorito la nascita e lo sviluppo di accordi di commercio internazionale, sia per alcune ‘fortunate’ contingenze geopolitiche. La guerra tra Stati Uniti e Cina ha infatti generato un importante spazio economico per il Paese, che ha rappresentato una valida alternativa per le aziende intente a sfuggire i dazi imposti da Donald Trump.

Il Vietnam, però, non vuole diventare una piccola Cina: oltre all’industria e al settore delle costruzioni (che contano insieme per il 34% del Pil) si stanno sviluppando sempre più mercati legati ai servizi, in particolare finanziari, e del turismo, che punta a riprendersi dopo il Covid-19, puntando su siti storico-culturali come l’antica città di Hue e i paesaggi del Delta del Mekong.

I servizi finanziari rappresentano una miniera d’oro per aziende internazionali che puntano su nuovi consumatori offrendo non solo servizi bancari di base (il 60% della popolazione non possiede ancora un conto corrente), ma anche microprestiti (per motorini, cellulari) e mutui per aziende e famiglie. La Banca Mondiale stima infatti una crescita della classe media dall’11% della popolazione a oltre il 50% entro il 2035: un segmento di mercato che risulta appetibile per molti settori.

“Sono venuto in Vietnam nel 2015, e qui ho fondato la mia startup, spinto dai trend di sviluppo di un ecosistema basato sul capitale umano, simile quindi a quello italiano”, racconta Giuseppe Iamele, 32 anni che a Ho Chi Minh ha fondato 2Click Solutions, un hub dell’innovazione digitale per aziende che vogliono implementare soluzioni tecnologiche, e oggi partner del ministero del Commercio e industria nell’ambito di progetti su smart city e startup.

“Questo è un paese abituato a produrre, ma con una capacità di acquisto che sta crescendo, e una volontà di innovare sempre più presente nelle società”, racconta Iamele, che ha da poco fondato anche una società di headhunting. “Il lavoro qui è tantissimo: sempre più aziende, molte cinesi e occidentali, stanno aprendo unità di business in Vietnam e la ricerca di manager è in forte crescita”. La società conta 35 collaboratori, a cui lo stipendio è stato ridotto, a causa del Covid19, solo per 5 mesi, e solo del 20%.

La risposta al Covid-19 in Vietnam è ancora oggetto di studio da parte di organismi internazionali, come la Banca Mondiale. Il Paese vanta infatti tra i numeri di contagio e decessi più bassi del mondo, con meno di 1.500 casi dall’inizio della pandemia e 35 morti. Ed è intervenuto con tempestività e la risposta della popolazione è stata immediata. Un elemento riscontrato anche in Paesi come la Thailandia o il Giappone, dove una forte cultura del contenimento delle patologie (in tutti i centri di aggregazione i cittadini erano già abituati ad indossare le mascherine), unita al tracciamento, ha permesso di ridurre l’estensione dell’epidemia. Nonostante i danni causati dalla pandemia, si stima che il Vietnam crescerà comunque, secondo la Banca Mondiale, perdendo circa lo 0,5% del Pil.

Se da un lato economia e società crescono e innovano, dall’altro rimangono alcune sfide di grande complessità per il Paese: il primo è l’ambiente, con la riduzione delle risorse naturali e l’aumento dell’inquinamento, specialmente nelle città, e il secondo è l’accesso ai servizi sanitari, ancora non garantito all’intera popolazione e dominato da un rapporto tra medici e pazienti ancora sensibilmente molto basso.

Le sfide di un Paese che ha visto quadruplicare la ricchezza media dei propri cittadini in meno di 25 anni e ridurre la povertà estrema dal 50% al 2% della popolazione sono ancora molte. Ma si sa, ‘Rome wasn’t built in a day’ e nemmeno questo nuovo, grande Vietnam.

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