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Innovazione e welfare aziendale: l’Adriano Olivetti delle auto spiega il successo della sua Texa

Bruno Vianello

Articolo apparso sul numero di gennaio 2020 di Forbes Italia. Abbonati.

Texa, acronimo di tecnologie elettroniche x l’automotive, è oggi tra i leader mondiali nella progettazione, industrializzazione e costruzione di strumenti diagnostici multimarca, analizzatori per gas di scarico, stazioni per la manutenzione dell’aria condizionata, dispositivi per la telediagnosi, per autovetture, moto, camion, imbarcazioni e mezzi agricoli. Con un fatturato consolidato di 135 milioni di euro nel 2019, impiega oggi 730 ‘appartenenti’, compresi oltre 150 ingegneri e specialisti impegnati nell’ambito ricerca e sviluppo, con un’età media è di 33 anni e per il 45% laureati.

Com’è nata Texa?
A fine anni ’80 avevo una Concessionaria Alfa Romeo e mi accorsi di come l’elettronica stesse iniziando a sostituire componenti tradizionalmente meccaniche, come ad esempio il carburatore. Ero testimone della difficoltà delle officine che, non a caso, si chiamavano ‘meccaniche’, nel confrontarsi con il progresso e ragionai sul fatto che presto ai meccanici sarebbe stato richiesto di sostituire le centenarie chiavi inglesi con strumenti di diagnosi elettronica. Percepii, insomma, che eravamo all’inizio di un cambiamento epocale nei veicoli e nella loro riparazione, e ogni grande cambiamento è anche una grande opportunità per chi lo cavalca. Così, dopo avere costruito con successo i primi strumenti artigianali per riparare i veicoli della mia officina autorizzata, decisi di dedicarmi alla realizzazione in serie di diagnostici multimarca e nacque la Texa.

Da oltre 20 anni la sua azienda genera profitti. Qual è il segreto del suo successo?
Abbiamo sempre investito moltissimo in ricerca e sviluppo: mediamente il 13% del nostro fatturato. I nostri strumenti hanno introdotto grandi novità nel settore. Cito ad esempio Google e la teleassistenza, che sono state sempre apprezzate dal mercato. Abbiamo sempre lavorato molto sulla qualità, dotandoci delle più stringenti certificazioni: nel 2020 Texa ha ottenuto la certificazione. Aggiungo che siamo stati anche i primi a puntare sull’estetica degli strumenti: perché uno strumento di officina poteva essere anche bello.

Quali sono stati i momenti più difficili che ha dovuto affrontare?
Senza dubbio quello attuale: la pandemia è stata del tutto inaspettata. Mi ha preoccupato molto, specie quando a marzo abbiamo dovuto interrompere la produzione. Per fortuna abbiamo trovato la forza per reagire, anche producendo un nuovo strumento sanificatore, Air2San, e oggi possiamo guardare al 2021 con relativa tranquillità.

Quale risultato l’ha reso più orgoglioso?
Ci sono stati tantissimi momenti belli, però dovendone citare uno direi il grande successo del nostro primo prodotto di diagnosi costruito in serie, Axone 2000: fu una rivoluzione tecnologica ed anche di stile, che anticipava addirittura le linee dei telefonini Nokia! Il suo successo fu talmente travolgente che Axone 2000 ci spinse con decisione oltre i confini nazionali, convincendoci ad aprire le prime filiali europee. In quel momento capii che l’idea di fondare la Texa era stata lungimirante.

Come pensa di mantenere questo trend di crescita?
Continuando a puntare su ricerca tecnologica, design e soprattutto passione.

In che cosa l’industria italiana rappresenta l’eccellenza?
Tocca un punto importante. Noi infatti siamo da sempre grandi sostenitori del made in Italy e fortemente contrari a ogni processo di delocalizzazione. Il grande e moderno stabilimento Texa, inaugurato nel 2012, proprio mentre tantissime attività produttive invece delocalizzavano, è la più concreta realizzazione di questa nostra precisa volontà. Nonostante la generale corsa verso nazioni a basso costo di manodopera e le ben note difficoltà per fare impresa in Italia, ritengo sia invece dovere morale dell’imprenditore impegnarsi nel garantire utili alla propria impresa, ma anche prosperità al territorio che gli ha dato natali e fortuna. La mia è stata una scelta etica, che si è dimostrata avere anche una grande valenza industriale: abbiamo sempre custodito il nostro prezioso know-how in azienda, a casa nostra, e abbiamo continuato a migliorare e affinare i prodotti investendo direttamente, con le nostre persone di fiducia, in ricerca e sviluppo.

Che messaggio si sente di dare ai giovani imprenditori?
Di continuare a sviluppare la propria passione e sognare grandi avventure. Il successo dell’azienda è una cosa che poi viene di conseguenza.

Quali obiettivi si è posto per il prossimo futuro?
Quattro anni fa abbiamo fondato Texa e-Powertrain, una vera azienda nell’azienda, per la realizzazione di innovativi motori elettrici ed inverter. Ho pensato che fossimo di fronte a un nuovo grande cambiamento ed era l’occasione per cavalcarlo come accadde nel 1992, quando fondai la Texa. Ho investito moltissimo assumendo una cinquantina di persone, molte delle quali con importanti trascorsi in grandi aziende automotive, e dotandomi di macchinari estremamente sofisticati. Una nuova avventura che mi sta dando grandi soddisfazioni. Abbiamo infatti realizzato un motore elettrico innovativo, ad architettura assiale, completamente diverso dalla maggior parte di quelli in uso nel settore automotive che sono invece radiali. A fronte di una costruzione più sofisticata, l’architettura assiale ha grandi vantaggi in termini di peso e potenza. Anche sul fronte dell’inverter, il ”cervello” di una vettura elettrica, stiamo realizzando cose molto innovative. In generale, il passaggio al motore elettrico ha segnato una ripartenza, per cui anche una azienda giovane come Texa può competere con aziende molto più grandi e storiche, ma che avevano esperienza solo su motori endotermici.

Quale ruolo giocherà Texa nella mobilità di domani?
Ferma restando la nostra leadership mondiale nel settore della diagnostica e dell’attrezzatura per officine, il nostro impegno nel mondo elettrico ha suscitato molta attenzione presso le case automobilistiche. Sono abbastanza sicuro che Texa affiancherà alla sua attività storica quella di fornitrice di motori e inverter ad alte prestazioni, anche questi realizzati rigorosamente in Italia.

L’hanno descritta come l’Adriano Olivetti del XXI secolo: cosa ne pensa?
È un paragone sicuramente esagerato, che credo sia dovuto alla particolarità della nostra azienda dove ho voluto creare un ambiente unico, un monumento contro la delocalizzazione e la spersonalizzazione del lavoro, con un continuo alternarsi di luoghi di lavoro e centri di aggregazione legati nella filosofia e nell’architettura alla tradizione locale, quali caffè, teatro, ristorante, sala giochi, un parco 40mila mq e un grande giardino pensile. Il concetto ispiratore consiste nel realizzare un luogo in cui il dipendente si senta valorizzato e motivato. Dico “dipendente” ma in realtà ho sostituito questa parola con “appartenente” perché ognuno deve sentire l’azienda come se un po’ gli appartenesse, condividendo quello spirito imprenditoriale che fa spesso la differenza e non rinunciando al “divertimento”. Il nostro lavoro è quello di realizzare cose nuove, sempre innovative e interessanti, e per farlo è necessario essere motivati. 

Oltre al lavoro e alla famiglia, a cosa le piace dedicare il suo tempo?
Sono un pittore dilettante. Prediligo rappresentazioni di bambini e paesaggi antichi. È un hobby che ho rallentato da quando ho due meravigliosi nipotini, ma che mi rilassa molto.

Qual è il suo sogno nel cassetto?
In generale, mi piacerebbe che l’Italia sfrutti questo momento di grande cambiamento tecnologico per tornare a essere un Paese industriale di primissimo livello, frenando l’emorragia di vendite di grandi aziende a colossi stranieri e riappropriandoci anche di quella cultura della componentistica in cui eravamo fortissimi. Oltretutto, la pandemia ci ha dimostrato che finché tutte le aziende di componentistica saranno in Asia, un qualsiasi evento o una qualsiasi strategia commerciale possa instaurarsi in quella parte del mondo, può metterci in ginocchio. Non è mai un bene dipendere da paesi e genti lontane. 

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