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Come diventare il miglior London Dry Gin italiano? Una piccola guida per capire meglio il distillato

di Federico Bellanca

Se pensiamo a quello che era il percepito diffuso delle birre all’inizio degli anni ’90, non possiamo fare a meno di notare l’evoluzione che ha subito questo settore. Trent’anni fa si chiedeva una “bionda” e lo si faceva principalmente in due momenti, ovvero in concomitanza della partita ed in compagnia di una pizza.

Negli ultimi decenni il mondo della birra ha subito una profonda rivoluzione, trainata da quel movimento comunemente chiamato “craft beer”, italianizzato nella forma “birra artigianale”. Il fiorire di nuovi microbirrifici ha portato ad un crescente interesse nei consumatori, fino agli attuali dati di mercato che ci raccontano di un giro d’affari nazionale pari a 6,75 miliardi di euro. Questa rivoluzione, che ha portato un paese a vocazione vinicola come il nostro a divenire il decimo produttore europeo di birra, è dovuta a diversi fattori, quali il cambiamento di percezione di questo prodotto, la destagionalizzazione del consumo e (da non trascurare) la riduzione delle accise.

Anche se i riflettori dell’opinione pubblica non si sono ancora del tutto accesi sul fenomeno, qualcosa di molto simile sta avvenendo in Italia con un distillato, il Gin, primo tassello all’interno di un mondo più amplio che all’estero viene individuato con il nome di Craft Distilling.

In pochi anni nel nostro paese sono nate più di 1084 etichette di Gin, spesso con botaniche estremamente localizzate (ad esempio il Gin ai capperi di Pantelleria o quello al radicchio rosso trevigiano). Come fare a rendere il proprio distillato un successo non solo locale, ma di livello nazionale? Per capirlo basta guardare da vicino la bottiglia che ha vinto in questi giorni il titolo di “Miglior London Dry Gin” italiano ai World Gin Awards del 2021, ovvero  il gin Mother’s Ruin Mediterraneo. Abbiamo scoperto alcune regole che possono essere interessanti da seguire.

1) Se viene dall’alambicco è meglio.

Ebbene si, non tutto il gin sul mercato è ottenuto tramite distillazione. Ci sono tanti piccoli produttori che usano una tecnica che si chiama “bathtub” ( traducibile in “gin da vasca da bagno”, perché è così che li facevano in America durante il proibizionismo) oppure “compound”, che consiste nel macerare le botaniche in alcool a freddo e poi nel filtraggio. Nulla di male, anzi, i risultati sono ottimi. Ma fidatevi se vi diciamo che la distillazione delle botaniche è una tecnica che non si può riprodurre. Nel caso di  Mother’s Ruin Mediterraneo ad esempio è stato scelto di affidarsi alle mani esperte del master distiller di Thames Distillers Ltd a Londra, una delle aziende più importanti a livello mondiale, che insieme ai titolari ha sviluppato una ricetta ad hoc sul loro progetto.

2) London Dry come DOC

Per noi italiani, abituati al vino, è difficile immaginare che la classificazione non sia legata ad un concetto di territorio, bensì tecnico. Ma così è quando si parla di Gin. Il termine “London Dry” non è assolutamente legato alla città di Londra, ma identifica una tecnica nobile di distillazione che si basa sull’uso di alambicchi tradizionali o in corrente di vapore (carter head a cestelli) attraverso i quali passa la quintessenza di piante e spezie. Oggi giorno molti gin usano nomi fantasiosi come “italian dry” o “mediterranean dry”, ottimi per il marketing ma senza nessun valore legale. Fidatevi, nello scegliere un London Dry la differenza si sente.

3) La scelta delle botaniche

Nel Gin vengono distillate in alcool ginepro (obbligatorio) ed altre botaniche (di libera scelta). Questo passaggio è fondamentale perché definisce l’identità del prodotto. C’è chi sceglie di metterne a decine, chi decide di puntare sull’assurdo includendo tra le botaniche formiche, e chi come nel caso di Mediterraneo ne sceglie poche ma pensate. Come un mastro profumiere vuol riprodurre un territorio dai suoi fiori, qui il distillatore ha voluto raccontare un mare attraverso le sue coste: il floreale della Provenza e lo speziato del Nord Africa, passando per le colline toscane e gli aranceti siciliani. Tutta l’anima del Mare Nostrum è raccolta in ogni bottiglia grazie ad arancia, angelica, cardamomo, coriandolo, lavanda, liquirizia e ginepro, tutte selezionate in base alla provenienza geografica e trattate per garantire che il Gin rispetti i parametri di prodotto biologico.

Se questo settore è dunque ancora agli inizi, la sua rapida crescita è sintomo di salute e del crescente interesse da parte degli imprenditori e dei consumatori. Proprio per questo è interessante provare fin da subito a capire il linguaggio della qualità, in modo da poter seguire e privilegiare chi con i suoi progetti vuole imporsi in maniera competitiva sul mercato.

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