La ricerca, condotta su 32.471 lavoratori in 17 Paesi in tutto il mondo, compresa l’Italia, tra il 17 novembre e il 11 dicembre 202o, analizza la situazione che i dipendenti devono affrontare oggi attraverso cinque dimensioni della vita lavorativa: fiducia dei lavoratori e sicurezza; condizioni di lavoro; retribuzione e prestazioni; mobilità dei lavoratori; e genere e famiglia.
Dallo studio emerge che l’aumento sostanziale delle ore di straordinari non retribuite si registra principalmente al Nord America che ha segnato un incremento di più del doppio (da 4 a 8,9 ore di lavoro), all’Europa (da 4,5 a 6,7) e all’America Latina (da 4,5 a 6,5). Meno evidente l’aumento nell’area Asia-Pacifico che, anche se risulta ancora in testa in questa particolare classifica di ore di lavoro retribuite con quasi 10, ha fatto registrare un incremento di 1,4 ore (da 8,5 a 9,9). “I manager hanno la responsabilità di sapere quanto stanno lavorando i loro dipendenti”, afferma Kevin Rockmann, professore di Management presso la School of Business della George Mason University, uno degli autori della ricerca.
I lavoratori però si sentono più autorizzati a trarre vantaggio da modalità di lavoro flessibili: è quello che sostengono due terzi (67%) degli intervistati, rispetto a poco più di un quarto (26%) prima della pandemia. Quasi la metà (47%) afferma che i propri manager consentono una maggiore flessibilità rispetto a quella fornita dalla politica aziendale.
Dalla ricerca emerge anche che il 46% degli intervistati (il 51% in Europa) ha dichiarato di aver assunto responsabilità lavorative maggiori, sia per compensare i licenziamenti dei propri colleghi, sia per far fronte al carico di lavoro in più creato dal Covid. Inoltre, il 68% degli intervistati ha dichiarato di aver ricevuto un aumento dello stipendio o l’attribuzione di un bonus. Si tratta in Europa per il 59% di uomini e per il 51% di donne.
La pandemia ha intaccato anche il sentiment generale. Per i prossimi cinque anni, la fiducia verso il proprio posto di lavoro è diminuita dal 92% dello scorso anno all’86%. Sia perché il 28% ha dichiarato di essere stato licenziato anche temporaneamente (il 13% in Europa), sia perché il 23% ha registrato un taglio dello stipendio (il 15% in Europa). E a pagarne le conseguenze sono stati soprattutto i giovani, la cosiddetta ‘Generazione Z’ che va dai 18 ai 24 anni. Il 78% di loro ha infatti dichiarato che a causa della pandemia la loro vita professionale ne ha risentito, tanto che il 39% ha affermato di aver perso il lavoro o di essere stati licenziati, anche temporaneamente. Non è un caso, quindi, se il loro livello di fiducia è crollato del 10% (dal 93% all’83%).
Capitolo famiglia, infine. Due terzi (67%) della forza lavoro globale afferma di essere stata costretta a fare un compromesso tra il proprio lavoro e la propria vita personale a causa dell’impatto della pandemia. La ricerca mette in evidenzia alcune preoccupazioni soprattutto per le donne e i genitori: il 15% dei genitori che lavorano dichiara che loro, o qualcuno del nucleo famigliare, ha smesso di lavorare volontariamente. La metà degli intervistati (52%) ritiene che le disposizioni dei datori di lavoro per i genitori che lavorano cesseranno entro un anno. In questo contesto, per le donne la gestione dello stress è una sfida e si sentono meno sicure delle prospettive di lavoro rispetto agli uomini.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it QUI.