Lars Carlstrom
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Chi è Lars Carlstrom, l’uomo dietro il progetto per la prima gigafactory italiana di batterie per auto

La manna stavolta non è scesa nel Sinai ma sotto il Gran Paradiso, dove un tempo brillò l’economia italiana ai tempi del miracolo: Scarmagno, cuore del Canavese, 12 chilometri da Ivrea e 43 da Torino. Qui giace l’impianto della ex Olivetti, concepita da Adriano per catapultare l’Italia alla testa della nascente industria elettronica. Oggi un deserto, un cumulo di capannoni abbandonati dietro cancelli arrugginiti, l’asfalto crepato e le mura annerite dal fumo. Solo un temerario o un visionario può pensare di mettere mano a un posto del genere, simbolo dell’Italia che poteva essere e non fu. E non è ancora ben chiaro a quale categoria appartenga Lars-Eyvind Carlstrom, classe 1965, svedese di Lulea, ex polo siderurgico del grande Nord, risorto grazie al primo data center di Facebook costruito al di fuori degli Stati Uniti.

Anche lui, da un anno, lavora attorno al progetto di creare qui, tra Torino e Milano, una fabbrica di batterie agli ioni di litio per automobili, con una capacità produttiva fino a 45 gigawatt. Un impianto disteso su 350mila metri quadri (proprietà Prelios), realizzato sotto la regia di Pininfarina, capace di dare lavoro a 3.500 mila dipendenti. È la missione di Italvolt, il progetto che Carlstrom sta seguendo da mesi, capace di conquistare sindaci, amministratori regionali e associazioni industriali all’inizio scettici, oggi convinti che meriti andare avanti.

Il progetto di Scarmagno

Dopo mesi di colloqui con potenziali investitori, istituzioni politiche locali e rappresentanti dell’associazione territoriale di Confindustria, il progetto è pronto. La road map prevede di iniziare i lavori per la costruzione dell’impianto nella prima metà del prossimo anno, in modo da avviare la produzione di batterie entro la fine del 2024, con la piena intesa con i comuni coinvolti (Scarmagno, Strambino, Romano Canavese, Mercenasco, Viafrè e Ivrea).

A curare la progettazione dell’impianto sarà la Pininfarina, che stima di presentare la richiesta dei permessi per avviare la costruzione dell’impianto alla fine dell’anno. È alle “battute finali”, assicura Italvolt, il negoziato con il partner industriale individuato per la definizione della tecnologia che verrà utilizzata per le batterie. Già oggi si sa che American Manganese si occuperà del riciclo delle batterie, mentre Tüv Sud sarà incaricata di certificare i prodotti e garantire il rispetto dei principi esg in tutti i processi produttivi.

Insomma, c’è quasi tutto. Salvo i capitali, ovvero i 4 miliardi di euro necessari per passare dalle parole ai fatti. O, se preferite, per portare la manna in tavola. Sarà in grado di raccoglierli l’industriale venuto dal Nord, un uomo tenace che in questi mesi ha saputo riscuotere la fiducia di sindacalisti già scottati dai piani che, da Carlo De Benedetti in poi, hanno illuso e poi deluso un’area già tecnologicamente avanzata? Ci crede Patrizia Paglia, presidente degli industriali del Canavese, che sollecita “un concreto supporto pubblico al progetto, che potrebbe diventare operativo in breve tempo”. Ma in questi casi, si sa, quel che conta è la stoffa dell’uomo, ovvero la sua capacità di riscuotere il credito necessario. Proviamo perciò a capire chi sia davvero il Mosè piovuto dal Nord per risvegliare i nipotini di Adriano Olivetti.

Chi è Lars Carlstrom

Per Lars Carlstrom l’Italia rappresenta una sorta di prova d’appello, dopo aver tentato, senza riuscirci, di avviare una gigafactory nel Regno Unito, ove peraltro la sua Britishvolt aveva ottenuto lo stato di bankable company e raccolto oltre 35 milioni di euro. Ma Carlstrom ha la testa dura, come dimostrano i diversi tentativi nel corso degli anni per acquistare il controllo di Saab, il marchio svedese avviato alla chiusura con la cessione da parte di Gm.

Il manager, che si è fatto le ossa con il real estate, le ha tentate tutte. La prima offerta per rilevare la casa scandinava, prima vittima della crisi dei subprime, risale al 2009. Carlstrom mette assieme Hakan Samuelsson, che sarebbe diventato in seguito presidente di Volvo, e Jan Nygren, ex ministro svedese ed ex senior advisor del ceo di Saab. Ma non se ne fa niente. Nel gennaio del 2010 il manager annuncia alle agenzie la nascita di un altro consorzio assieme all patron della Formula 1, Bernie Ecclestone, e al private equity lussemburghese Genii capital (cui fa capo la scuderia Renault). Ma l’offerta per Saab non arriva nemmeno al traguardo perché il fondo si ritira.

Un terzo tentativo coinvolge un chiacchierato uomo d’affari russo, Vladimir Antonov, poi coinvolto in un’inchiesta su una banca lituana e finito in prigione in Russia. Carlstrom, nemmeno sfiorato dalle indagini, vede ancora una volta svanire il sogno di rilanciare il marchio. Infine, l’ultimo tentativo nel 2012, stavolta come consulente degli indiani di Mahindra & Mahindra. Non si arriva a niente, ma Carlstrom ritroverà più avanti i partner asiatici, che nel 2016 rileveranno la Pininfarina.

Lars Carlstrom in Italia

È il primo contatto con l’Italia del manager che, frustrate le ambizioni sulla Saab, entra in un cono d’ombra: per cinque anni, fino al 2019, il manager dichiara reddito zero al fisco svedese, come ha rilevato La Stampa. “Non ho dichiarato alcuna entrata – si è giustificato – perché in quegli anni ho investito il mio patrimonio in miei progetti, senza riconoscermi uno stipendio”. In particolare, ha aggiunto, “la mia attività negli ultimi trent’anni ha spaziato dall’automotive al real estate e alla consulenza”, compresa la partecipazione al capitale (e nel consiglio) di diverse società, per lo più di medie dimensioni.

Ecco, in sintesi, chi è l’imprenditore che vuole dare la scossa all’industria italiana: un uomo senz’altro tenace, trasparente il giusto (si è sottoposto senza problemi ai raggi X di giornali e possibili partner), senza scheletri negli armadi. Ma che dalla sua ha più di un flop: una brutta premessa per chi deve andare a caccia di capitali. Specie in Italia, dove amicizie e clientele contano più delle buone idee. E che sia una buona idea una fabbrica di batterie nel cuore della Val Padana, tra Torino, il Nord Est e la Motor Valley emiliana, è quasi scontato.

L’Italia e le auto elettriche

L’Italia, per ora, è quasi assente dalla sfida delle batterie, l’anima dell’auto elettrica. Certo, il governo è impegnato in una trattativa con Stellantis perché, dopo gli investimenti in Francia e in Germania, la terza fabbrica di batterie del gruppo guidato da Carlos Tavares veda la luce in Italia, forse a Mirafiori, oppure in una località a Sud, più vicina a Melfi e a Pomigliano. Ma è ben poca cosa rispetto alle richieste del mercato e, soprattutto, all’occasione di rilanciare l’industria in quella che fu un’area forte. Il programma di Carlstrom punta all’ingresso nella Battery Alliance europea, passaggio necessario per accedere agli incentivi per creare un’industria del settore in grado di emancipare l’auto del continente dallo strapotere asiatico. Un progetto da 7-8 milioni di pezzi l’anno entro il 2025, in cui può trovare agevolmente spazio una fabbrica tricolore.  

I soldi? Saranno necessarie risorse pubbliche, attraverso il Recovery Fund (ma non solo) e un forte coinvolgimento del private equity, da cui arrivano le prime manifestazioni di interesse. Oltre alle banche, naturalmente. Ma il salto di qualità richiederà il ricorso al mercato dei capitali di rischio. Forse una Spac, secondo il modello sperimentato con successo dalla norvegese Freyr, che si è aggregata nello scorso gennaio a una Spac delle Isole Cayman con l’obiettivo di approdare alla quotazione a New York.   Insomma, il ragionamento ha una sua logica. Ora occorre trovare quattro miliardi di euro: un jackpot di tutto rispetto anche ai tempi della grande liquidità. 

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