Articolo tratto dal numero di settembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
di Riccardo Corazza
Quando qualcuno chiede a Stefano Antonucci il segreto del successo, la risposta è semplice e lapidaria: fare vini che piacciano a lui. Cuore e anima di Cantina Santa Barbara, a due passi passi da Ancona e 25 km dall’Adriatico, tra le morbide colline che corrono tra i fiumi Misa e Nevola, uscito da una prima vita come banchiere, di cui parla senza rimpianti, si è poi dedicato, assumendosene i rischi in un periodo molto più difficoltoso di quello odierno, alla cooperativa di famiglia. Diventata, a colpi di scelte azzeccate, in realtà imprescindibile nel panorama marchigiano. Fautrice, tra le altre, del Rinascimento del Verdicchio degli anni ‘90.
In tanti lo considerano un viticoltore anticonformista, eclettico e visionario, anche se, al di là di abiti sgargianti e colorite montature degli occhiali, la sua carriera come winemaker è tutta consistenza. Le viti di Santa Barbara coprono un’area di 45 ettari dislocati tra i comuni di Barbara, Serra di e’ Conti, Montecarotto, Arcevia, Morro D’Alba e Cupramontana. Vigneti relativamente maturi, tra i 20 e i 45 anni, con suoli di matrice tufacea-argillosa e microclima completato dall’azione temperante svolta dalle colline, accarezzate, soprattutto la sera, dalle correnti salmastre. Da sempre Cantina Santa Barbara associa al progetto di recupero del Verdicchio (e altri territoriali di pregio come Montepulciano e Lacrima di Morro d’Alba), una linea di vini capaci di reinterpretare i vitigni internazionali, con grandi letture di Merlot, Syrah e Cabernet Sauvignon.
L’impronta di sostenibilità, già evidente, è completata dalla proattività di Stefano e dei suoi: nuove frontiere si apriranno con una linea di vini certificata bio e un progetto di cantina realizzata con materiali di recupero e rivestita di legno marino, armonica al territorio. Tagliato ormai il traguardo del milione di bottiglie (prodotte interamente nella sede centrale), Santa Barbara si propone anche come avamposto di un eno-turismo sostenibile e propizio per piccoli e deliziosi borghi circostanti. Una cantina da visitatre, simbolo di eccellenza e delle potenzialità dell’italian style in ambito enoico.
E i vini? Sopra tutti, questo incredibile alfiere aziendale, il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Doc Le Vaglie 2020, arrivato alla sua 29esima release, che stupisce fin dalle variopinte etichette, ma soprattutto all’assaggio. Colore giallo paglierino brillante, sensazioni composite al naso, pesca-noce, tocchi di timo, finale lievemente mentolato e ammandorlato. La bocca è densa e croccante, salmastra, la persistenza eccellente, con chiusura fruttata-officinale e ritorno ammandorlato.
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