Mentre alla Pre-Cop 26 di Milano si è parlato di cambiamenti climatici e taglio delle emissioni, sui mercati i prezzi delle materie prime – combustibili fossili compresi – hanno continuato la loro corsa. Basti pensare che quello del carbone viaggia ora a 218 dollari per tonnellata, mentre un anno fa si aggirava intorno ai 50. Anche il petrolio ha rialzato la testa, con il Brent arrivato a 78 dollari al barile e il Wti sopra i 74 dollari. Un anno fa, nessuno dei due arrivava a 40. E il gas naturale è passato in 12 mesi da 2,50 dollari al metro cubo a oltre 5,90. Un aumento riconducibile a un’impennata della richiesta, dovuta, in parte, al fatto che il gas naturale è meno inquinante rispetto agli altri combustibili fossili.
L’esplosione dei prezzi è il sintomo di un’economia mondiale che ha ripreso a funzionare a pieno ritmo, dopo la recessione causata della pandemia. I colossi dell’economia mondiale, Stati Uniti e Cina in testa, hanno fame di energia, con la quale devono supportare lo sforzo produttivo in un periodo di ripartenza.
I rincari delle bollette
Si è parlato in questi mesi della carenza dei microchip, che ha gravato in modo particolare sull’industria automobilistica. E ha fatto molto parlare la decisione della Cina di limitare il consumo di energia elettrica nelle sue fabbriche. Una restrizione che ha colpito anche aziende americane come Apple e Tesla, che dovranno giocoforza rallentare il loro ritmo produttivo a causa dei blackout. La spiegazione ufficiale dietro alla decisione di Pechino è la volontà di non costruire altre centrali energetiche a carbone, per concentrarsi sulla transizione energetica verso fonti rinnovabili. Ma c’è probabilmente almeno un’altra ragione: il caro materie prime sta rendendo troppo costosi la produzione e l’approvvigionamento.
Anche gli italiani stanno subendo le conseguenze di questo fenomeno. A partire dal caro delle bollette di luce e gas che, a partire da ottobre, vedrà aumenti del 29,8% per le prime e del 14,4% per le seconde. E questo è avvenuto nonostante l’intervento del governo italiano per calmierare gli aumenti, che altrimenti sarebbero stati più corposi. Ma oltre ai colli di bottiglia produttivi, dietro a questo aumento dei prezzi delle materie prime qualcuno vede anche una partita geopolitica in atto.
Un gioco di equilibri geopolitici
“Tra il 2021 e il 2022 si assisterà a importanti cambiamenti politici in Europa”, spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. “Alle elezioni tedesche seguiranno le presidenziali francesi nell’aprile 2022. Durante questa fase gli Usa stanno ridimensionando l’importanza strategica del Mediterraneo, per dedicarsi in modo preminente al contenimento della Cina, anche da un punto di vista militare”.
Le mosse degli Stati Uniti sono legate anche all’incidente diplomatico dei sottomarini nucleari con la Francia, che si è vista stracciare una commessa di sottomarini a propulsione tradizionale con l’Australia. Un caso all’apparenza solo di politica economica, ma che ha a che vedere anche con la volontà di presidiare la zona con le tecnologie militari più avanzate.
Il fantasma della crisi energetica
“In questo contesto”, prosegue Cesarano, “Russia e Cina probabilmente cercano di orientare il nuovo atteggiamento geopolitico dell’area verso di loro. Per facilitare il tutto, fanno pesare la loro importanza, rallentando la catena di fornitura. La Russia lo fa con il gas, la Cina non solo con la componentistica, ma anche con i fosfati, importanti per i fertilizzanti, di cui è primo esportatore mondiale e per i quali è stato bloccato l’export nel 2022. Anche per queste ragioni i livelli di scorte di gas in Europa sono su livelli molto bassi, esponendo al rischio di una crisi energetica, soprattutto se l’inverno non sarà mite”.
Parole che fanno tornare alla memoria le crisi petrolifere degli anni Settanta, quando si verificò un brusco aumento del prezzo del greggio e dei suoi derivati tra il 1973 e il 1974. Anni in cui molto governi, compreso quello italiano, emanarono disposizioni volte al drastico contenimento del consumo energetico.
Un problema per la crescita economica nel 2022
Un’altra vicenda spinosa è quella legata ai semiconduttori, la cui enorme richiesta, a fronte di un’offerta scarsa, sta mettendo a rischio i ricavi di molti settori. “Secondo uno studio di Deloitte, il mercato dei semiconduttori dovrebbe raggiungere un valore di 550 miliardi di dollari nel 2022”, spiega Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Im Italia. “Le telecomunicazioni e il data processing generano insieme il 65% del valore di questo mercato. Non dimentichiamo però altre voci molto importanti, come le componenti elettroniche utilizzate nei beni di largo consumo (9%), nell’industria automobilistica (12%) e nella produzione industriale in generale (13%)”. Va da sé che una scarsità di approvvigionamenti può zavorrare la crescita in tutti i questi settori. “È evidente, quindi, il largo utilizzo che si fa dei semiconduttori nelle catene di valore del mondo globalizzato e digitalizzato”.
Tornano poi a pesare, anche su questo fronte, gli attriti geopolitici. “La concentrazione regionale della produzione di semiconduttori vede l’Asia dominare il resto del mondo, con un output del 70%. Il resto se lo spartiscono Europa, Giappone e Stati Uniti”, analizza Tentori. “Questi punti sono di importanza strategica, come evidenziato dal Piano quinquennale del governo di Pechino, nonché dall’intensificarsi degli attriti tra Cina e Stati Uniti”.
Quindi, in definitiva, cosa bisogna aspettarsi nei prossimi mesi? “Si preannuncia un quarto trimestre all’insegna del taglio delle stime di crescita 2022”, è l’opinione di Cesarano. “Per le aziende si profila un possibile taglio delle guidance su fatturato e margini, per l’impossibilità di reperire le adeguate forniture di componentistica e materie prime, in ogni caso a costi crescenti”.
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