È italiano il sistema robotico impiantabile che àncora capsule magnetiche nel corpo umano infondendo insulina. La scoperta, pubblicata sulla rivista internazionale Science Robotics, fa capo all’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, che ha cooperato con l’Università di Pisa e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Per la completa applicazione servono ancora tempo e, soprattutto, investimenti. Da 1 a 10, spiega Veronica Iacovacci, fra i principali autori dello studio, “possiamo dire che la ricerca è a 7. È in corso una fase di reingegnerizzazione del sistema grazie a fondi europei competitivi. Questo progetto ci consentirà di far evolvere ulteriormente il sistema, risolvendo i problemi attuali e portandolo a una validazione first-in-human tra circa 5 anni. Questa ulteriore validazione, se avrà successo, getterà le basi per le fasi di certificazione e ulteriore sviluppo prima della commercializzazione”.
Iacovacci, 33 anni, è originaria di Latina ma si è trasferita a Pisa nel 2007 per frequentare la facoltà di ingegneria biomedica. Seguiva una collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna, ora si divide fra l’istituto pisano e la Chinese University di Hong Kong. La storia di Iacovacci e del team di 14 ricercatori è l’ennesima conferma che nei nostri centri universitari e di ricerca c’è un potenziale enorme che attendo solo di essere liberato. In concreto: finanziato.
I fondi
Tocca quota 8,4 miliardi il Fondo di finanziamento ordinario delle università, 500 milioni in più dell’anno scorso: una cifra mai raggiunta negli ultimi 15 anni. Numeri ancora lontani dalla media europea, ma che rappresentano un segnale di apertura. L’aumento si registra poi nella quota premiale ora equivalente al 30% dei fondi da distribuire. Premialità che tiene conto proprio della qualità della ricerca.
Quali dovrebbero essere i criteri per allocare fondi alla ricerca? Lo abbiamo domandato ad Arianna Menciassi, prorettrice vicaria della Scuola Sant’Anna e coordinatrice dello studio sul robot per la cura del diabete. “In questo momento si sta facendo molto e ormai abbiamo linee guida precise per investire i fondi del Pnrr sulla missione 4 (istruzione e ricerca)”, dice Menciassi. “Si parla di centri di riferimento nazionali, di partenariati estesi e di ecosistemi dell’innovazione, i primi due su temi specifici che vanno dall’intelligenza artificiale alla biodiversità, dalla sostenibilità alla farmacologia. E ci sono anche fondi per la ricerca individuale, a modello degli erc europei, che danno una prospettiva anche per la ricerca libera. Adesso servono metodi di valutazione veloci e rigorosi. Il sistema dalla peer review sta un po’ esplodendo e non sarà semplice trovare valutatori per tutte queste iniziative progettuali. Serve un aumento della responsabilizzazione dei singoli e una limitazione dei metodi di controllo dalla natura troppo burocratica”.
Ricerca, innovazione e industria
Menciassi plaude alle premialità per chi fa bene: “Ne servirebbe anche di più, ma la situazione negli ultimi 15 anni è molto cambiata, anche grazie all’adozione di strumenti di valutazione introdotti dall’Anvur. Sebbene con metodi che debbono essere sempre migliorati, si è entrati nell’ottica della valutazione, che presuppone una mentalità diversa dal quella del finanziamento a pioggia. La difficoltà sta nell’individuare le punte di eccellenza all’interno di strutture molto grandi, magari dalle performance medie non soddisfacenti. E a quel punto bisogna sostenere di più coloro che fanno di più, assumendosi la responsabilità della scelta, senza doversi attaccare a mille cervellotici indicatori”.
Altro punto. Ricerca-innovazione-industria è una triangolazione necessaria, ma ancora per niente ovvia da noi. Il trasferimento di competenze dal mondo della ricerca alle imprese andrebbe spinto con più forza. “Quello della startup che genera impatto economico e sociale è sicuramente un ottimo sbocco per la ricerca avanzata”, osserva Menciassi. “Si parla spesso di bisogni delle aziende che non si sposano bene con le offerte degli atenei. Quando la startup deriva dall’ateneo, è più facile parlare uno stesso linguaggio e fare squadra. Se ben organizzato a livello di gestione della proprietà intellettuale e di sinergie reciproche, si tratta di un fenomeno da alimentare. Adesso la valutazione delle università si misura anche con la terza missione, e l’imprenditorialità fa parte a pieno titolo di questa terza missione”.
La maratona della robotica
La robotica non è tra le iniziative prioritarie del Pnrr, benché sia un settore dove l’Italia brilla internazionalmente. “Forse si pensa che la robotica sia un qualcosa di abilitante, ma un po’ a metà tra la ricerca di base e la ricerca sul campo, quindi ce ne dimentichiamo. È la stessa sorte dei dispositivi medici”, commenta Menciassi.
Nel frattempo, si continua a sviluppare il sistema robotico impiantabile (curiosità: il dispositivo misura 7,8 x 6,3 x 3,5 cm). Il team lavora al progetto dal 2009 e ha realizzato i prototipi preliminari nel 2013. “In quel periodo”, spiega Iacovacci, “iniziava a formarsi il team che ha guidato lo studio, avviando la collaborazione con chirurghi e diabetologi. Un importante passo in avanti è arrivato nel 2016 grazie ai finanziamenti della Regione Toscana e del Miur, che hanno permesso di coinvolgere un maggior numero di ricercatori nello sviluppo”.
Se volessimo fare un paragone podistico, siamo attorno al km 30 di una maratona. Altri finanziamenti potrebbero favorire lo sprint finale.
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