Giuliano Caldo EasyPark
Innovation

Alla conquista delle strisce blu: l’app che vuole far dimenticare le monete per pagare il parcheggio

Articolo tratto dal numero di novembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!

“L’abitudine è quella cosa che ti fa fare sempre allo stesso modo ciò che potrebbe essere fatto meglio. Gran parte del nostro lavoro è convincere le persone ad abbandonarla. E non basta essere bravi ingegneri e sapere sviluppare una buona app: bisogna essere anche psicologi”. Giuliano Caldo, general manager di EasyPark in Italia, una laurea in fisica e un master in ingegneria aerospaziale all’università di Princeton, 20 maratone e una 100 km del Passatore corse negli ultimi dieci anni, spiega così quello che la società svedese cerca di fare da vent’anni: convincere gli automobilisti a smettere di pagare il parcheggio con le monete e passare al digitale.

Nata nel 2001, lo stesso anno in cui per la prima volta una sosta fu pagata con un telefono, EasyPark ha cominciato con nove parcheggi a Stoccolma. Oggi è presente in più di tremila città di oltre 25 paesi. Negli ultimi anni ha compiuto varie acquisizioni per consolidarsi, oltre che nel Nord Europa, anche nell’Unione europea, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. In Italia è in quasi tutte le grandi città e in circa 550 comuni, con l’obiettivo di arrivare “ovunque ci sia una striscia blu”.

“L’idea alla base del servizio”, spiega Caldo, “è che l’automobilista, quando si ferma, è costretto a fare una previsione della durata del parcheggio. E per non rischiare una multa, deve stimare per eccesso. Il risultato è che spesso finisce per pagare, ad esempio, 60 minuti e andarsene dopo 40 o 50. L’app permette di pagare solo i minuti di sosta reali, oltre a evitare la ricerca del parchimetro più vicino”.

Solo un italiano su cinque, fa sapere EasyPark, si è convinto finora a pagare la sosta via telefono. Gli operatori del settore sperano di vedere quadruplicare la quota entro tre o quattro anni. “Non è un traguardo utopistico: nel Nord Europa le cifre sono già quelle”, assicura Caldo. “Da noi la digitalizzazione è stata sempre vista come una cosa per ‘smanettoni’. La vera trasformazione avverrà quando si capirà che la tecnologia è per tutti e che non va usata per motivi filosofici o perché è bella, ma perché migliora la vita. È un processo che può avvenire anche in modo naturale, per il solo fatto che i nativi digitali rappresentano una fetta crescente della popolazione. Occorre però lavorare affinché si completi in cinque o dieci anni e non in due generazioni”.

E anche perché avvenga su tutto il territorio nazionale. L’ultimo Desi regionale dell’Osservatorio agenda digitale del Politecnico di Milano – un rapporto che misura il grado di digitalizzazione dell’economia e della società delle regioni italiane, ispirato al Digital economy and society index della Commissione europea – ha dimostrato che è ancora sensibile il divario tra le zone del Paese. Se la media nazionale è di 53,8 punti su 100, le singole regioni vanno dai 18,8 della Calabria ai 72 della Lombardia. Secondo Caldo, però, il vero solco è quello tra grandi e piccoli centri. “A fare la differenza è la volontà di innovare e mettere a disposizione servizi sempre migliori. Un’ambizione presente più nelle città che nei piccoli comuni”.

Accelerare la trasformazione è poi cruciale per un’azienda che si rivolge soprattutto a chi non è nativo digitale. “Il problema del parcheggio riguarda soprattutto chi vive la città, cioè ha un lavoro e un reddito”. In un paese in cui la disoccupazione giovanile, secondo i dati Istat di luglio, è al 27,7% e, come dice Caldo, “la macchina non è più il sogno dei 18 anni”, la maggior parte dei clienti è costituita allora da 40 o 50enni.

Convincere le aziende, invece, sembra essere più facile. “Con loro il discorso è razionale: basta dimostrare che è possibile spendere meno o guadagnare di più”. Il servizio business-to-business (b2b) di EasyPark permette alle imprese di pagare le soste dei dipendenti. “Chi viaggia per lavoro fà decine di soste al mese. Per ognuna deve tenere da parte foglietti che vanno poi fotografati, incollati, processati, controllati. Con l’app, le aziende possono pagare in tempo reale la sosta e sostituire tutti quei foglietti con un’unica fattura”. Un servizio che, nelle intenzioni di EasyPark, può contribuire a digitalizzare anche le piccole e medie imprese che costituiscono gran parte del tessuto economico italiano – sono circa 160mila secondo il Rapporto regionale pmi 2021 di Confindustria e Cerved. Aziende spesso troppo piccole per mettere insieme con risorse proprie i sistemi e il personale necessari.

Al momento EasyPark cresce a un ritmo vicino al 50% annuo e dichiara di voler superare presto il 70%. Un obiettivo che conta di raggiungere tramite progetti come l’integrazione sulla stessa app del pagamento della ricarica delle auto elettriche, l’allargamento della presenza nei parcheggi in struttura e l’espansione di Find & Park: un servizio – gratuito per gli utenti EasyPark – che indica le strade con colori diversi a seconda della quantità di posti disponibili. Secondo l’azienda, permette di risparmiare in media quattro minuti per ogni ricerca di parcheggio. Presente oggi in cinque città, Find & Park ha debuttato a Verona, dove nel 2019 ha evitato l’emissione di una tonnellata di anidride carbonica. Il risparmio potenziale è stimato in 62 tonnellate all’anno.

Strumenti come Find & Park possono avere un impatto anche sulla gestione urbana. Coloro che pagano la sosta tramite app, infatti, generano una grande mole di dati che può essere utilizzata per rivedere la distribuzione dei parcheggi in città. “Spesso la difficoltà di trovare posto non è dovuta alla mancanza di strisce blu, ma alla loro distribuzione. In alcune città, l’80% delle soste si concentra nel 20% delle vie. In base ai dati forniti dalle app, i comuni possono scegliere dove aggiungere posti, oppure dove eliminare del tutto le strisce blu e rendere gratuita la sosta”.

Uno sviluppo che apre tuttavia un problema di privacy: i dati sui parcheggi forniscono infatti informazioni sugli spostamenti dei cittadini. “La questione della riservatezza è la più importante per le aziende che operano via internet”, dice Caldo. “I possibili pericoli però non arrivano da aziende che, come la nostra, fanno pagare ai clienti un servizio, ma da quelle che sfruttano i dati per vendere pubblicità. Noi guadagniamo grazie a commissioni di alcuni centesimi sulle singole transazioni e agli abbonamenti. Forniamo i dati alla pubblica amministrazione, ma solo dopo averli resi anonimi”

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