Innovation

La startup italiana scelta per “sfilare” davanti agli investitori della Silicon Valley

In Alchemist il 25 gennaio è il Demo Day, il giorno della dimostrazione. Una ventina di startup, selezionate fra migliaia, illustrano il proprio prodotto alla platea di venture capitalist e manager di multinazionali. Una platea d’oro, considerato che siamo nella Silicon Valley e che Alchemist è uno dei più potenti acceleratori al mondo. Nel 2016, Cb Insights lo elesse numero uno. Fino ad oggi, ha generato 1,2 miliardi di dollari accelerando 300 startup tra cui LaunchDarkly, Privacera, Rigetti Quantum Computing e Volans-i. I fondi investiti in aziende Alchemist coinvolgono il gotha degli investitori. Tra questi Accel, Andreessen Horowitz, Bessemer, Founders Fund, Greylock, Khosla, Menlo, NEA, Polaris, Redpoint e USVP.

Nella rosa delle startup del DemoDay solo due sono europee, ma quel che più conta è che una è italiana. È Covision Quality, spin off di Covision Lab, azienda specializzata in computer vision e machine learning. È stata fondata nel 2019 a Bressanone da sette multinazionali alto-atesine guidate dal ceo Franz Tschimben, che vede in Alchemist “una strategia vincente per aumentare la visibilità dei nostri prodotti software”. “Inoltre” aggiunge, “ci consente di stabilire collegamenti diretti con alcune delle più grandi aziende manifatturiere del mondo”.

Covision Quality (Cq) sviluppa software di automazione per l’industria manifatturiera. Il prodotto che debutta il 25 gennaio – e che è già in uso – è un software che automatizza, nello specifico, il processo di ispezione visiva. Un’operazione al momento affidata a operatori con costi che equivalgono al 20% del fatturato, con un 30% dei difetti di parti prodotte non identificati. Il sistema brevettato da Cq opera su diverse superfici, dal metallo alla plastica, passando per i tessili. 

In luglio Covision Quality è stata accolta nel grembo di Alchemist (tasso di accettazione pari allo 0,5%). Questo significa che ha avuto accesso alla rete di mentori e di industrie dell’acceleratore che ha in Ravi Belani il suo padre fondatore. Prima di lanciare Alchemist, Belani ha operato in McKinsey, quindi nella società di venture capital Dfj – per intenderci, la compagnia che scommise su Skype, Tesla, Baidu e SpaceX. Ha un master in ingegneria a Stanford, dove attualmente insegna, e un Mba a Harvard.

Ravi Belani, cos’è che l’ha convinta di Covision Quality?

Il fatto che possa collaborare con le nostre aziende partner, anzitutto europee, come Siemens o Johnson Controls. Il nodo cruciale di un’azienda manifatturiera è ridurre gli errori fino a risolverli, e Cq interviene in tale senso. Un prodotto di questo tipo difficilmente poteva sbocciare nella Silicon dal momento che siamo sprovvisti di industrie manifatturiere. Cq mi ha convinto subito per la triangolazione di intelligenza artificiale, software e un squadra di professionisti con profonde conoscenze nel mondo della manifattura. Ci piace perché è efficiente, dunque riduce i costi nel corto periodo, ma anche per l’efficacia a lungo termine.

Ravi Belani, ceo dell’acceleratore di startup Alchemist

Ha dichiarato che su 10 mila startup, mille assicurano il 97% del ritorno degli investimenti. Cosa accomuna queste mille?

Il fatto che abbiano le potenzialità per crescere in modo esponenziale. Non basta una crescita del 10%, devono esserci più zeri. In Covision intravediamo questa potenzialità perché lavorando sugli errori può, a sua volta, imparare da questi perfezionandosi. Altro principio, per essere vincente devi fare qualcosa di totalmente differente rispetto alla concorrenza, troppe startup fanno cose simili entrando così in competizione. Gli unicorni usciti da Alchemist erano startup fuori scala sulle quali pochi volevano scommettere, ma è nell’essere un outsider che risiede la ragione del successo.

Un suo giudizio sul mondo delle startup europee.

In Europa c’è un problema: parlate lingue diverse e questo implica una pluralità dei mercati dei consumatori. Quando fondi una startup in Cina o in America non hai la necessità di espatriare poiché ti basta il mercato interno. Viceversa sarebbe impensabile lanciare un unicorno italiano senza guardare oltre confine.

Alchemist ha collaborato con altre startup italiane oltre a Covision?

In passato abbiamo collaborato con Nebuly, startup di Francesco Signorato.

Che opinione ha della prima generazione di venture capitalist europei?

Negli ultimi 10 anni ho visto una metamorfosi interessante. Prima l’obiettivo del venture capitalist europeo era ridurre il più possibile i rischi evitando fallimenti. Ora vedo che a muoverlo è sempre più il gusto della sfida, anziché il freno della paura. Per i venture capitalist americani la priorità non è mai stata la riduzione dei rischi, semmai la parola d’ordine è “pensa in grande”. L’obiettivo è raggiungere le dimensioni più grandi possibili.

Chi è l’imprenditore tecnologico italiano che più apprezza?

Fabrizio Capobianco, lo ammiro profondamente. In Italia ha conseguito una laurea di Computer Science, poi ha fatto esperienza nella Silicon. Da questo connubio è nato un modello che noi identifichiamo proprio con il suo nome. L’Italia a mio avviso è sottostimata in tema di tecnologia. Peccato, perché avete tanti talenti, in particolare nel campo dell’ingegneria. Il problema delle vostre startup è l’accesso alle risorse. Quanto a capitale umano non avete nulla da invidiare a nessuno.

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