Responsibility

Empowerment femminile: 4 politiche sociali per abbattere il soffitto di cristallo nel mondo del lavoro

Articolo di Gaia van der Esch*

Il momentum sul tema dell’empowerment femminile nel mondo del lavoro e nella politica è arrivato anche in Italia. Articoli ed eventi evidenziano i dati preoccupanti sulla disparità di genere e si discute sul bisogno di adottare politiche robuste nel pubblico e nel privato. Ci sono sempre più giornalisti, esperti, attivisti e politici che cercano di educare il pubblico. Insomma, si parla del tema e si combatte contro gli stereotipi.

Il problema, però, è che il cambiamento nel nostro Paese rimane lento, con impatti significativi sulle carriere delle donne in Italia. Come possiamo accelerare il tutto?

Tante donne fuori dalla forza lavoro e pochissime ai vertici

Oltre il 50% delle donne in Italia non lavora (Istat), contro la media del 42.8% tra i Paesi Ocse. Per non parlare della leadership al femminile. A livello globale, il 27% delle posizioni manageriali è occupato da donne (Gggr 2021). Un numero bassissimo ma alto rispetto all’Italia che, con il 18% di manager donne (di cui solo 3% ceo), è in ritardo anche su questo fronte. Un problema di rappresentanza che va dal settore privato alla politica, dove i partiti si schierano per la parità di genere a parole, non nei fatti.

Basti pensare alle ultime elezioni presidenziali, dove non c’è stata una proposta effettiva di una candidata nonostante l’impegno di eleggere la prima Presidentessa dalla maggioranza dei partiti. Questo gap si trova anche nella gestione della crisi del Covid-19. Le donne occupano 70% dei posti di lavoro nella sanità e nel sociale, ma costituiscono il 24% delle task force di risposta al Covid al livello globale. Insomma, il soffitto di cristallo rimane quasi intatto.

Più parità ovvero Pil mondiale in crescita?

I dati però non evidenziano solo i problemi ma anche le soluzioni. Le aziende e organizzazioni con una forza lavoro diversificata per genere, cultura o età prendono decisioni più sostenibili e hanno una maggiore performance. Un esempio? Se l’occupazione delle donne fosse pari a quella degli uomini il Pil mondiale crescerebbe del 26% entro il 2025. E se monetizzassimo il lavoro di cura (non retribuito) delle donne, stimato in media al 75% di tutto il lavoro di cura, al Pil mondiale si aggiungerebbe l’11%, ovvero 12mila miliardi per il McKinsey Global Institute. Questi esempi confermano che, oltre a essere una questione di giustizia sociale, è anche questione di rendimento economico.

Rompere il soffitto di cristallo 

Una componente chiave per sbloccare la partecipazione delle donne nella forza lavoro è investire sui talenti. Cioè la capacità di imprese, organizzazioni e amministrazioni pubbliche di attrarre candidate donne e farle avanzare lungo il percorso di carriera, formandole dai livelli junior a quelli senior.

Ecco, la funzionalità della pipeline in Italia, come sottolineato anche dal WEF, è fragile. E la pandemia ha evidenziato questo aspetto. Basti pensare al dato Istat di dicembre 2020 dove, su 101mila nuovi disoccupati, il 98% erano donne. 

Alcune politiche di cambiamento secondo il G20

Serve fare leva su questa fase di rilancio del Paese per adottare misure che creino e rafforzino la pipeline. Come? Ecco alcune priorità delineate dal G20 Empower, alleanza pubblico-privata del G20.

  • Assicurare la flessibilità lavorativa: il mantenimento della flessibilità degli orari di lavoro e il lavoro da remoto è una misura da mantenere. Bisogna farlo però in maniera paritaria tra donne e uomini per non creare squilibri.
  • Ridistribuire il peso della cura: gli investimenti sulla scuola dell’infanzia e su strumenti volti a supportare la gestione di lavoro e vita privata di entrambi i genitori sono il punto di partenza. Il G20 è convinto che serve un approccio drastico per generare un cambiamento: il congedo parentale obbligatorio ed equivalente tra donne e uomini. La proposta di aumentare il congedo parentale in Italia a 3 mesi è quindi un passo importante.
  • Creare una cultura di parità: le barriere culturali e gli stereotipi di genere influenzano il corso della carriera delle donne, ed è necessario un cambio di mentalità. Serve lavorare sulla scuola, sul linguaggio e i modelli che vengono dati in TV, nei libri e nei media per sradicare i pregiudizi. Le aziende e la pubblica amministrazione devono, in parallelo, promuovere uno sforzo di formazione contro i pregiudizi e adottare meccanismi di controllo severi.
  • Investire nella formazione: bisogna investire in politiche di attrazione dei talenti, creare piani di promozione per far avanzare le donne nella forza-lavoro. E adottare regolamenti sulla trasparenza dei salari per far emergere le discriminazioni esistenti. Le quote e i targets sono uno strumento efficace, ci dice il G20 Empower. Lo ha fatto, ad esempio, la Francia per assicurare una presenza effettiva di donne a livelli esecutivi, sia all’interno dei cda sia all’interno delle aziende e della politica.

Insomma, non ci sono più scuse per rimanere fermi. Ma il cambiamento dipende anche da noi e dalle iniziative che prenderemo come impiegati, cittadini o manager per raggiungere una parità di opportunità e di genere nel mondo del lavoro.

* Gaia van der Esch è esperta di policy e politica internazionale. Dopo aver ricoperto ruoli esecutivi con Ong internazionali è tornata in Italia per guidare il G20 Empower sotto la presidenza italiana del G20. È autrice di Volti d’Italia (Il Saggiatore, 2021) e collabora con testate internazionali e italiane su temi di policy, relazioni internazionali, equity e diritti umani. È stata nominata tra gli under 30 più influenti d’Europa nella categoria Law & Policy da Forbes nel 2017.

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