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Dalla Campania all’Umbria collezionando stelle Michelin: il viaggio dello chef Vincenzo Guarino tra borghi nascosti e la torta di Maradona

Dietro all’oro e a agli stucchi dell’eleganza, la cucina Fine Dining sa essere per chi la vive da protagonista uno dei mondi più competitivi che si possa immaginare. Non basta infatti affermarsi, arrivare al top, magari conquistare l’ambitissima stella della Guida Michelin; bisogna anche saperla mantenere, vivendo ogni nuova edizione della “rossa” con il batticuore della riconferma, ambire alla crescita in direzione della seconda, e chissà, magari all’olimpo della terza.

In questo ambiente lavorativo in cui tutti vogliono essere i migliori, ovviamente tra i modi più intuitivi per spiccare vi è quello di scegliere il palcoscenico giusto, quello più importante, il meglio illuminato e il più frequentato dagli addetti ai lavori. Ma se questo pare essere il copione scelto da molti, c’è anche chi ogni tanto decide di fare una scelta diversa, di cuore e di passione, abbandonando la strada tracciata per sceglierne una nuova, tutta da costruire, e forse per questo più entusiasmante. Nessuno par rappresentare meglio questo modo di vivere la cucina di Vincenzo Guarino.

Per chi non conoscesse lo chef di Vico Equense, vale la pena spendere qualche riga d’introduzione. Partito dalla Campania grazie ad anni di gavetta e di studio in giro per l’Italia e non solo (tra i maestri ai del suo percorso di crescita vale la pena citare Nazzareno Menchini, del Grand Hotel Quisisana di Capri, Peter Wiss, Frèdy Girardet, Davide Oldani, fino ai leggendari fratelli Roca), Vincenzo crea nel tempo la sua firma gastronomica, di stampo squisitamente panmediterraneo. Insieme al suo stile lo chef individua anche il proprio mondo d’elezione lavorativa, ovvero quello dell’alta hotellerie, un microcosmo che richiede capacità di adattamento, rapidità di esecuzione e capacità di relazionarsi con brigate piccole e grandi, con clienti dai gusti più disparati.

Una dimensione in cui Guarino si trova perfettamente a proprio agio, tant’è che non tardano ad arrivare i riconoscimenti, tra cui l’ambitissima e ricercatissima stella Michelin ottenuta ben tre volte in location meravigliose, tra le perle assolute del turismo italiano: prima al Patriarca di Chiusi, poi all’Accanto di Vico Equense e al Pievano del Castello di Spaltenna. Si trasferisce poi dal Chianti al meraviglioso Mandarin Oriental Hotel sul Lago di Como, convincendo anche qui la guida francese.

Dopo una serie così eclatante di successi, lo chef poteva permettersi di andare ovunque, scegliendo liberamente il ristorante che più corrispondeva alle sue ambizioni, magari nel cuore di qualche grande città oppure in una delle mete del turismo di lusso di cui il nostro paese abbonda. Ma è proprio qui che la storia del nostro protagonista si fa ancor più interessante. Lasciate le sponde del Lario, lo chef decide di concedersi un periodo di riflessione per poi decretare la sua nuova meta: nello splendido borgo di Castello di Postignano nel cuore della Valnerina, in Umbria.

Il borgo sopravvissuto

Considerato uno dei borghi più belli d’Italia, Castello di Postignano domina la valle sottostante offrendo agli ospiti una vista di straordinaria bellezza e un fascino senza tempo che si fonde con le comodità della struttura ricettiva, perfettamente integrata nell’architettura e nell’ambiente. Fondato tra il IX e il X secolo d.C., costituisce un unicum talmente rappresentativo da essere stato scelto da Norman F. Carter, Jr, uno dei più celebri architetti del ventesimo secolo, per la copertina del suo volume dedicato ai borghi collinari italiani.

Inserito dal Ministero dei Beni Culturali nell’elenco dei monumenti di interesse storico-artistico, il borgo dopo esser stato per lungo tempo abbandonato è tornato in questo secolo a nuova vita grazie ad un ambizioso progetto di recupero e ristrutturazione che lo ha reso parzialmente ripopolato oltre che sede di una struttura ricettiva che conta su 20 suites, ricavate in quelle che furono le antiche case. Un’opera appassionata, iniziata nel 2007 e proseguita con l’attenzione e il rispetto che il luogo merita, che ha visto il restauro di affreschi e strutture, prima tra tutti la chiesa inizialmente dedicata a San Primiano e poi a San Lorenzo, con lo splendido affresco che ricorda appunto il martirio di San Lorenzo.

Oggi, grazie anche ai bellissimi spazi “comuni” come il Teatro-Giardino delle Rose o la Chiesa SS Annunziata, il borgo attrae molte persone anche dai comuni circostanti che vengono anche per kermesse quali “Un Castello all’Orizzonte”, ricchissimo programma di eventi, mostre, concerti, conferenze e spettacoli teatrali che vedono protagonisti importanti artisti italiani e internazionali.

Ed ovviamente in un luogo deputato al ‘bon vivre’ non poteva mancare una particolare attenzione all’aspetto enogastronomico. Nasce così la “La Tavola Rossa”, regno incontrastato di Vincenzo Guarino, dove 10 ospiti siedono insieme senza conoscersi intorno ad un grande pianale di legno dove lo chef cucina ogni sera un menù diverso.

La Tavola Rossa, il regno incontrastato dello chef Vincenzo Guarino

La Tavola Rossa

Una bellissima sala, un tavolo incastonato tra mura antiche che flirtano con il meglio che la tecnologia possa offrire: è qui che il cuoco campano si diverte di giorno a dare lezioni di cucina e la sera a cucinare il meglio che questa terra sa offrire. In questo spazio multifunzionale Guarino racchiude infatti tutti i sapori dall’Umbria che ha personalmente scovato in questi mesi di appassionata ricerca e li unisce a proposte di materia prima provenienti dalle varie terre dove ha lavorato e che ha imparato ad amare, creando così piatti come “guancia di maiale, bon bon d’anguilla, purea di carote profumate allo zenzero”, affiancate ad alcuni suoi signature come lo “scampo,foie gras, quaglia, mela e arance”.

Lo chef presiede ed ultima ogni piatto direttamente in sala, conversando e discutendo con i privilegiati ospiti che per il tempo di una cena sono riusciti ad accaparrarsi una delle dieci sedute e decidendo insieme a loro i tempi dello svolgimento (ad esempio, il risotto qui è religione, e non si comincia la cottura se tutti i commensali non sono perfettamente concentrati. Meglio una pausa prima che un chicco scotto poi!). Un ristorante che è praticamente uno chef table, dov’è facile dimenticarsi delle formalità, finendo a discutere con animata passione con i vicini che fino a poco fa erano perfetti sconosciuti.

La tavola dove si riuniscono i dieci sconosciuti commensali per gustare le prelibatezze di Vincenzo Guarino

Tra manualità e tecnologia

Pare quasi che lo chef abbia voluto creare un destination place che fosse non solo una tappa imperdibile per i golosi, ma anche terreno fertile per sperimentare. In fondo, “La Tavola Rossa” è un esperimento sociale per i commensali presenti, ma anche un esperimento culinario dove trovano spazio tecniche avanguardistiche come l’utilizzo in pasticceria della stampante 3D. E dovendo scegliere una qualsiasi figura da rappresentare in questo primo piatto figlio della tecnologia, cosa se non l’emblema stesso della passione partenopea?

Credetemi, veder una statua commestibile di Diego Armando Maradona comparire sul tavolo non può non suscitare emozioni. Divertimento, in chi come il sottoscritto tifa per altri club; gioia, per la coppia venuta da Napoli a festeggiare il proprio anniversario e il di cui marito era abbonato allo stadio al tempo dello scudetto; rivincita, nell’ospite inglese che affonda il cucchiaio con rabbia nella testa riccioluta del campione vendicando a modo suo la Mano de Dios che gli costò un mondiale. Passioni appunto, quelle che hanno mosso Vincenzo Guarino a venire qui e che ogni sera riesce così egregiamente a trasmettere al suo ristretto pubblico tra alta manualità e tecnologia avanguardistica.

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