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Un italiano su tre pronto a cambiare lavoro: cos’è il fenomeno del quitfluencer

Il mondo del lavoro è alle prese con una rivoluzione. La fuga di talenti, le grandi dimissioni e il malessere dei dipendenti per le condizioni lavorative hanno inaugurato una nuova strada, dove lo stress lascia spazio al benessere e a retribuzioni adeguate. La terza edizione della ricerca Global Workforce of the Future realizzata da Adecco Group, gruppo attivo nei servizi dedicati alla gestione delle risorse umane, evidenzia al meglio il trend.

Quitfluencer: l’effetto domino tra i lavoratori

Nell’indagine, che ha coinvolto 34.200 lavoratori in 25 Paesi diversi, sono emersi dati preoccupanti: a livello globale circa un terzo dei lavoratori (il 27%) ha l’obiettivo di cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi, mentre il 45% di loro si è già candidato per un altro impiego.

Una propensione da cui ha origine il cosiddetto ‘quitfluencer’, in cui il dipendente che lascia il proprio lavoro incoraggia gli altri a seguire l’esempio. 7 lavoratori su 10 ammettono, infatti, di prendere in considerazione l’idea di lasciare l’occupazione dopo aver visto gli altri smettere, con il 50% che poi decide di lasciarla definitivamente. Un effetto domino che riguarda soprattuto i giovani, che hanno il 25% di probabilità in più di essere influenzati dai colleghi.

“Le aziende  devono concentrarsi sempre più sulle soluzioni di retention”, raccomanda Adecco, “di fronte a questa situazione di forte instabilità, investire in iniziative di formazione e avviare percorsi di upskilling e reskilling diventa importante per incrementare la competitività delle aziende sul mercato e favorire la crescita professionale dei dipendenti, contenendo così il tasso di dimissioni in azienda”.

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Cosa spinge le persone a cambiare azienda?

Sono diversi gli aspetti da considerare quando si decide di cambiare occupazione. Secondo il rapporto di Adecco, lo stipendio rappresenta il motivo principale che spinge a cercare un altro lavoro. In Italia, il 61% dei lavoratori ritiene insufficiente il proprio salario per fronteggiare la crisi economica attuale. Se la retribuzione rimane al primo posto per i lavoratori insoddisfatti, questo fattore scende al sesto posto quando il dipendente si sente coinvolto.

“Il desiderio dei lavoratori di abbandonare il proprio impiego per andare alla ricerca di nuove opportunità lavorative è un fenomeno sempre più diffuso sia a livello italiano che globale. Le aziende devono rivedere le proprie priorità in termini di un maggiore impegno nei confronti delle persone, non affidandosi esclusivamente allo strumento degli aumenti salariali”, ha dichiarato Andrea Malacrida, Country Manager di Adecco Group Italia.

“L’incremento dello stipendio rimane senza dubbio un elemento trainante, ma va affiancato a iniziative concrete per la tutela del benessere della persona”. L’insoddisfazione per il salario può spingere ad accettare pagamenti in nero (35%), ricercare un secondo lavoro (51%) o sceglierne uno nuovo con una retribuzione più alta (49%). Se da una parte la maggior parte dei lavoratori (61%) è fiduciosa di poter trovare un nuovo impiego in 6 mesi, dall’altra il 72% ritiene che il proprio lavoro sia quello più sicuro.

Nel rapporto emergono i fattori che spingono a mantenere la propria condizione. Soddisfazione (nel 40% dei casi), stabilità (38%), equilibrio tra vita lavorativa e privata (35%), sono elementi importanti sia per i lavoratori “da scrivania” che per gli altri. In tutto questo, il benessere rimane centrale: nel 75% dei casi si preferisce un datore di lavoro interessato a questo aspetto.

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Il fenomeno del quiet quitting

Tuttavia solo il 54% dei lavoratori si dichiara soddisfatto delle prospettive di carriera e dei benefici aziendali, mentre è interessante notare come il 57% sia soddisfatto della posizione del proprio datore di lavoro sulle questioni sociali.

Un altro aspetto è legato al bisogno di stimoli tra chi lavora. La metà dei lavoratori resterebbe solo nel caso di una progressione di carriera. Una discussione mai affrontata con il superiore da un quarto della forza lavoro. Tra i rischi principali c’è il cosiddetto ‘quiet quitting’ (dimissioni silenziose), che indica il mancato impegno sul posto di lavoro e un distacco mentale ed emotivo durante la giornata.

“Non compare in alcuna statistica relativa ai tassi di abbandono del posto di lavoro, ma se non viene individuato può alimentare una cultura tossica in cui i lavoratori sentono di non potersi esprimere liberamente e, quindi, scelgono di non impegnarsi”, sottolinea il report.

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