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Produttrice, attivista e imprenditrice: Julianne Moore si racconta a Forbes. “Il successo? Tutta questione di disciplina”

Non crede nell’età. Forse, è per questo che è sempre piena di energia. “Ho sempre amato tantissimo lavorare, fin da quando ero molto giovane. Se si fa quello che si ama, non ci si stanca mai. Sono convinta che ci si possa reinventare a qualsiasi età, che si possano cominciare nuovi business. L’età è solo un numero. Negli Stati Uniti alla gente non interessa quanti anni hai, ma piuttosto quello che fai”.

Julianne Moore, dopo film di successo come Boogie Nights e The Hunger Games, e altre pellicole iconiche indie come Magnolia, The Hours, Far from Heaven, Short Cuts, è stata eletta nel 2020 dal New York Times come una delle più grandi attrici contemporanee nel ventunesimo secolo. Del resto, è una delle attrici tuttora più richieste, e più pagate, di Hollywood. E continua a crescere sia come artista, sia come imprenditrice di se stessa, dato che è anche produttrice e testimonial di diversi brand.

Dopo aver presentato al Sundance Film Festival When You Finish Saving the World, film diretto da Jesse Eisenberg, essere stata presidente della giuria internazionale del recente Festival del cinema di Venezia, la Moore è adesso testimonial di Hourgalss Cosmetics, per cui ha lanciato una nuova campagna innovativa, che esalta il valore delle donne a qualsiasi età.

Come produttrice è altrettanto attiva con diversi progetti in cantiere, mentre ha realizzato After the Wedding, nel 2019, diretto da suo marito, il regista Bart Freundlich, con cui ha due figli anche loro impegnati nel mondo del cinema, e Gloria Bell, nel 2018, storie entrambe focalizzate su protagoniste femminili.

Julianne è da sempre una grande attivista per i diritti delle donne, come ha anche sottolineato quando ha scelto di interpretare la giornalista Gloria Steinem, leader dei movimenti femministi americani, in The Glorias. 

Nella campagna We Glow per Hourglass Cosmetics la vediamo insieme a sua figlia, Liv Freundlich, in un bellissimo confronto di generazioni. 

Ho accettato di partecipare a questo progetto perché amavo la sua visione: la bellezza nasce da dentro. So di essere una donna attraente, ma sono anche consapevole che se non avessi avuto una sicurezza interiore e un certo carisma non avrei mai brillato. La nostra società è troppo focalizzata solo sull’aspetto esteriore. Per questo, al contrario, mi piace l’approccio naturale della campagna che mette a confronto una donna matura come me con una più giovane come mia figlia. Il fondotinta leggero che indossiamo, l’Ambient Soft Glow Foundation, esalta la pelle spontaneamente, senza troppe forzature. Inoltre, viene esaltato anche il concetto di famiglia e di relazioni personali: la bellezza nasce anche da come ci relazioniamo con gli altri e le persone che amiamo, da come sappiamo vivere in armonia con loro.

Come è stato lavorare con sua figlia, anche lei attrice?

È stato molto bello. Ma ho voluto che lei gestisse da sola il suo contratto perché ci tengo sia una brava imprenditrice di se stessa e sappia amministrare i suoi affari. Non voglio essere una figura ingombrante per lei, voglio che sia una donna in grado di prendere le sue decisioni.

Alla Fiera del libro di Francoforte ha trionfato la letteratura per l’infanzia e per ragazzi. Lei, oltre che essere un’attrice, è anche autrice bestseller di libri per bambini. Ci racconta come è nata la serie di Freckleface Strawberry? 

Il mio primo libro fu pubblicato nel 2007. Non ci credetti nemmeno io quando diventò subito un New York Times Best Seller. Tante celebrities scrivono libri, ma non è sempre un successo assicurato perché non era una biografia. Tutto è nato da un mio problema di discriminazione: quando ero bambina venivo spesso presa in giro per le mie lentiggini e i miei capelli rossi. In quel periodo, quando creai il personaggio del libro, i miei figli stavano vivendo lo stesso problema. Quindi mi venne l’idea di inventare questo personaggio, una bambina lentigginosa, che si sentiva diversa dagli altri. E che, in fondo, era una metafora in cui potevano rispecchiarsi tutti i bambini che si sentivano diversi e incompresi. Alla fine, per me, essere diversi vuol dire essere unici e speciali: una consapevolezza che si deve sviluppare nei nostri figli e in noi stessi, così come lo spirito di accettazione verso tutto quello che non è simile a noi. Sono felice che i miei libri siano serviti a molti bambini a superare i loro problemi. Freckleface Strawberry è anche stato adattato a un musical.

Lei è sempre stata impegnata nell’educazione: a New York andava lei stessa nelle scuole dei suoi figli e si impegnava attivamente nella comunità no?

Sono sempre interessata a investire su progetti che promuovono l’educazione. Sono una persona pratica e realista, anche un po’ romantica, e so che questo era il modo migliore per crescere i miei figli. Anche adesso, che i nostri figli sono andati fuori casa per studiare al college, io e mio marito Bart continuiamo ad avere una quotidianità ordinaria. Ci siamo trasferiti da una grande casa a un appartamento più piccolo a Manhattan. Durante la pandemia abbiamo invece preso una casa sulla spiaggia a Long Island, che è comunque, sempre, un buon investimento.

In cosa creda consista il segreto per avere successo nella vita?

In una forte determinazione, a non lasciarsi scoraggiare, a continuare ad andare avanti. E, poi, bisogna darsi una disciplina, seguire i propri obiettivi, restare focalizzati. Avere equilibrio tra vita privata e carriera è stato pure per me sempre fondamentale. Spesso ho rinunciato a grandi film per restare a New York, vicino alla mia famiglia. Ero già stata sposata prima, ma non aveva funzionato, perché ero troppo giovane, così quando conobbi Bart, che mi ha diretto sul set di The Myth of Fingerprints, sapevo che se volevo che la mia relazione funzionasse ci dovevo investire energia, proprio come si fa per la carriera. Nella vita è importante sapere quello che si vuole: per me era avere una famiglia e dei figli. Ho inoltre instillato nei miei figli, fin da ragazzi, una forte etica lavorativa. Spesso hanno lavorato come assistenti e “tuttofare” sui set, senza alcun privilegio. 

Lei è nata in una base militare in North Carolina, figlia di un colonnello americano e di una psichiatra e assistente sociale scozzese. Anche i suoi genitori le hanno trasmesso la suo forte etica lavorativa e il suo attivismo?

Si parlava sempre di problemi sociali ed economici a casa. Ma penso che a rendermi forte, e insegnarmi a sapermi adattare in diverse occasioni, è stato il nostro stile di vita. Viaggiavamo tantissimo: cambiavo spesso scuola, città e amici. In ogni luogo era come se sviluppassi una personalità diversa, in base all’ambiente circostante, a confrontarmi ogni volta con culture e modi di pensare differenti e con la solitudine, che non ho poi mai temuto. Questo è stato di certo un grande input per il mio lavoro di attrice, ma, soprattutto mi ha aiutato a superare da sola qualsiasi problema nella vita. E, poi, allora, imparai a osservare e a saper ascoltare. Troppo spesso non si valuta la capacità di comprendere gli altri, che è invece molto utile nella vita.

Quali qualità pensa la portarono a emergere rispetto agli altri?

Avevo studiato molto per fare questa professione, mi ero laureata in teatro alla Boston University, ma mi ritrovai a New York a fare la cameriera e a pulire i tavoli. Qualcun altro si sarebbe sentito umiliato, invece a me piaceva quel lavoro perché incontravo molta gente. Mi divertiva parlare con le persone e ascoltarle, gestire gli ordini, avere a che fare con il team della cucina. Quell’esperienza mi ha anche insegnato a non essere mai arrogante, a trattare tutti con cortesia. Odiavo quando alcuni clienti non mi guardavano negli occhi quando ordinavano, quasi fossi invisibile. Credo, quindi, che questa mia positività mi abbia aiutato a superare le audizioni, a non prendere troppo sul personale un rifiuto. A non perdere tempo. 

Come vede il futuro in questo difficile momento storico?

Anche da questo punto di vista rimango positiva. Di recente, mi sono impegnata con Tory Burch contro l’uso delle armi negli Stati Uniti e per l’esigenza di una legge che ne regolarizzi l’acquisto. Rispetto molto l’Europa, dove esiste una maggiore consapevolezza per questo problema. Al momento sono presidente fondatore dell’Everytown Creative Council che ha lo scopo di supportare i sopravvissuti e promuovere politiche di controllo sulle armi. Al summit della Tory Buch Foundation a New York abbiamo proprio lavorato per concentrarci sul creare nuove norme, promuovendo l’uguaglianza per un mondo migliore. Dal punto di vista imprenditoriale credo anche molto nel connubio tra le arti e tutti i settori del business. Spesso le arti sono state sottovalutate, ma io sono convinta che avranno invece sempre un grandissimo potenziale per ispirare ed elevare l’umanità. Mai come adesso c’è bisogno di creatività per trovare soluzione alternative. 

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