E’ alto 60 centimetri, pesa 17 chilogrammi, cammina a una velocità di 6 chilometri l’ora, ma soprattutto viene manovrato da remoto da chi, causa disabilità, fatica a entrare nel mondo del lavoro. Si chiama Gibot e porta i pasti a domicilio confezionati in trenta gastronomie di Brescia. Prima è nata Gibo, app di food delivery dedicata ai prodotti del passato, poi, Presto Robotics, di Francesco Riccuti e Filippo Baldini, ha creato il robot. Forbes ha incontrato Matteo Crucito, 32 anni, cofondatore della Gibo Delivery, azienda dei giovani imprenditori bresciani Enrico Mattioli, Andrea Cremonesi, Luca Marazzi e Carlo Scanzi.
Da ottobre due robot circolano per le strade di Brescia consegnando cibo. Bilancio di questo mese di sperimentazione?
Siamo soddisfatti, al punto che dopo questa fase di test, e qualche ritocco alla meccanica del robot, ora avviamo una campagna di crowdfunding per raccogliere capitale, l’obiettivo è di toccare quota 500mila.
Quanti robot vorreste mettere in campo entro il 2023?
Una prima flotta di robot, circa venti, verrà prodotta una volta chiuso il round, altri robot di dimensioni maggiori verranno poi impiegati per sperimentare la consegna della spesa a domicilio di supermercati affiliati. L’idea è quella di aprirci anche ad altre città e sempre con l’obiettivo di creare un ecosistema dove la tecnologia è a sostegno dell’uomo e non viceversa. All’atto della consegna del cibo, per esempio, il pilota che da remoto ha guidato il percorso del robot può parlare con il cliente, è dunque parte attiva.
Premesso che siete già attivi con Gibo Delivery, con driver diciamo umani. In cosa siete diversi rispetto ad altre aziende che consegnano cibo a domicilio?
Rispetto ad altre aziende che si muovono orizzontalmente su più mercati, Gibo promuove i piatti delle migliori gastronomie, botteghe e macellerie di quartiere, incarnazione della tradizione culinaria italiana. La nostra app consente di entrare virtualmente nel negozio, visionare il banco dei prodotti, scegliere e ordinare tutto da remoto. Entro 60’ il cibo è a casa.
La consegna via robot non è però una novità…
Vero, è già attiva in alcuni Paesi però tutto avviene tramite l’Ia. Noi coinvolgiamo chi è diversamente abile consapevoli che solo il 16% dei disabili italiani ha un lavoro.
Perché un robot e non un drone?
Il drone pone limitazioni non indifferenti. Anzitutto chiede a chi lo manovra una patente, e non può volare in alcune aree.
Chi è l’utente tipo?
La mamma che non riesce a cucinare perché rientra tardi dal lavoro, lo studente che non ne può più di surgelati e panini, ma anche chi vuole mangiare italiano.
Quando la bottega abbassa la saracinesca dove va Gibot? Ha una casa?
Rientra nelle botteghe e gastronomie.
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